Al Cite, il Comitato Interministeriale per la Transizione Ecologica, il ministro Cingolani ha presentato il documento di 161 pagine in cui vengono delineati 5 macro-obiettivi, con la priorità della neutralità climatica al 2050
La notizia positiva è che c’è un Piano. Sulla transizione ecologica il ministero ad hoc, creato su spinta di Beppe Grillo e poi appoggiato obtorto collo dall’ampia maggioranza che sostiene il governo Draghi, si è finora contraddistinto per posizioni ambigue e poco radicali (tanto che c’è chi chiede le dimissioni del titolare del dicastero). Da una parte il ministro Roberto Cingolani, va detto, continua a professare l’urgenza di una trasformazione del modello di sviluppo che vada verso la sostenibilità (usando parole forti come “apocalisse” e “bagno di sangue”), dall’altra lascia aperte le porte a dinosauri energetici come il gas e gli inceneritori che però, a questo giro della storia, rischiano di far estinguere la specie umana.
Neppure l’importante appuntamento del G20 Ambiente a Napoli ha sciolto i nodi, visto che sui temi fondamentali – dall’eliminazione del carbone al mancato riferimento dell’obiettivo di mantenere l’aumento delle temperature entro 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali fino al poco coraggio sull’economia circolare – la transizione resta una strada lastricata di buone intenzioni ma di poca pratica. Ora però ci sono molti più elementi per giudicare la transizione ecologica, così come intesa dal nostro Paese.
Come si arriva al Piano per la transizione ecologica?
È finalmente giunta a conclusione la “Proposta di piano per la transizione ecologica”, che è stata illustrata lo scorso 28 luglio dal ministro Cingolani al Cite, il Comitato Interministeriale per la Transizione Ecologica (un organo voluto dal presidente del Consiglio Mario Draghi in persona). La riunione si è svolta a Palazzo Chigi e, data la concomitanza con altri impegni del premier, è stata presieduta proprio da Cingolani. Erano presenti alla riunione i ministri dell’Economia e delle finanze, Daniele Franco, delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, del Lavoro e delle politiche sociali, Andrea Orlando, delle politiche agricole, alimentari e forestali, Stefano Patuanelli, per gli affari regionali e le autonomie, Mariastella Gelmini, per il Sud e la coesione territoriale, Mara Carfagna; la viceministra Alessandra Todde per il ministero dello Sviluppo economico.
Istituito con la legge n. 55 del 22 aprile 2021, il Cite al momento si è riunito soltanto due volte. Ora, dopo la presentazione della proposta di Piano, dovrà attendere i pareri della Conferenza unificata e delle competenti Commissioni parlamentari. Solo dopo questi passaggi, il Piano potrà essere approvato dallo stesso Cite. Ma le indicazioni fornite dal ministero – che ha individuato gli obiettivi generali da raggiungere coerentemente con gli impegni internazionali ed europei, con il limite temporale del 2030 e un orizzonte prospettico al 2050 – sono fondamentali per capire l’idea di transizione ecologica da che ha il governo Draghi. Oltre agli obiettivi, infatti, sono stati definiti il percorso metodologico e i target da raggiungere. Andiamo allora a vedere la proposta di Piano nel dettaglio.
I contenuti della proposta di Piano per la transizione ecologica
La proposta del Piano per la transizione ecologica si articola su cinque macro-obiettivi, che sono stati ovviamente condivisi a livello europeo:
1) neutralità climatica;
2) azzeramento dell’inquinamento;
3) adattamento ai cambiamenti climatici;
4) ripristino della biodiversità e degli ecosistemi;
5) transizione verso l’economia circolare e la bioeconomia.
All’interno di questa cornice sono otto gli ambiti di intervento previsti, per i quali verranno costituiti appositi gruppi di lavoro:
1) decarbonizzazione;
2) mobilità sostenibile;
3) miglioramento della qualità dell’aria;
4) contrasto al consumo di suolo e al dissesto idrogeologico;
5) miglioramento delle risorse idriche e delle relative infrastrutture;
6) ripristino e rafforzamento della biodiversità;
7) tutela del mare;
8) promozione dell’economia circolare, della bioeconomia e dell’agricoltura sostenibile.
La proposta di Piano è un documento di 161 pagine che lo stesso ministero definisce “uno strumento dinamico”. La stella polare del Piano per la transizione ecologica resta il raggiungimento della neutralità climatica al 2050 e, di conseguenza, la riduzione del 55% delle emissioni di gas serra al 2030. Un target d’altra parte richiesto recentemente dalla Commissione europea col pacchetto “Fit for 55”, contenente proposte legislative disegnate per permettere il conseguimento degli obiettivi intermedi del Green Deal europeo. Come però fanno notare da tempo le associazioni ambientaliste, neutralità climatica non vuole dire assenza di emissioni ma soprattutto, un’incentivazione delle compensazioni attraverso meccanismi “buoni” come la riforestazione e “cattivi”, o quantomeno critici, come l’acquisto dei crediti di carbonio al cosiddetto mercato delle emissioni (il sistema EU ETS).
Allo stesso tempo un ruolo centrale lo gioca inevitabilmente il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), così come viene dettagliato nell’allegato 3 della proposta di Piano per la transizione ecologica: una sorta di cronoprogramma dove vengono delineate le misure correlate, gli indicatori qualitativi e quantitativi e il calendario previsto. Al momento la tabella è quasi tutta da riempire.
L’importanza della mobilità sostenibile e delle rinnovabili
Per ridurre le emissioni il Piano punta molto sull’elettrificazione dei consumi. A partire dai trasporti, che – ricorda il ministero retto da Cingolani – “sono responsabili del 30% del totale nazionale delle emissioni”. Più in generale viene ribadito che gli obiettivi sanciti dalle istituzioni europee sono “ambiziosi” mentre va tenuto presente che “il Paese deve affrontare contestualmente un problema diffuso di povertà energetica, reso più evidente dalla pandemia e che interessa il 13% delle famiglie. Il sistema energetico conoscerà una profonda trasformazione, in termini di minori consumi finali, indotti da crescita di efficienza concentrata in particolare sul patrimonio edilizio pubblico e privato, e sui trasporti. La quota di elettrificazione del sistema dovrà progressivamente tendere e superare quota 50%. L’accelerazione del contributo delle energie rinnovabili diventa un fattore cruciale”.
Il ministero definisce un arco di tempo ragionevolmente lungo – dieci anni – affinché si raggiunga l’obiettivo per cui “almeno il 50% delle motorizzazioni dovrà essere elettrico”. Inoltre “in un quadro coordinato a livello europeo i sussidi ai combustibili fossili dovranno essere progressivamente eliminati”, anche se non viene indicata alcuna data. Nel paragrafo col titolo evocativo “Energia in trasformazione” viene sancito che “la progressiva sostituzione dei combustibili fossili con le energie rinnovabili rappresenta la principale condizione necessaria della transizione ecologica”: un impegno importante, netto, che dovrà tener conto delle resistenze dei colossi del settore come Eni e Snam (Enel si è già convertita da tempo alle rinnovabili). Se da una parte viene ribadita poi l’importanza dell’idrogeno, dall’altra il ministero torna a ripetere che il cambiamento climatico è “un fenomeno globale”. Pur se tra parentesi, viene riportato che “sul totale mondiale delle emissioni di CO2 da combustibili fossili, il contributo dell’UE è pari a circa l’8,8% e quello italiano è meno dell’1%”. Come a dire che l’Italia farà la sua parte ma, come Cingolani ripete dal suo insediamento, bisognerà portare sulla via della transizione Stati come la Cina, India e Russia – che insieme contano un terzo della popolazione mondiale.
“Alla sfida dell’equità fra Paesi – aggiunge il ministero – se ne aggiunge però un’altra, quella della giustizia intergenerazionale, non meno importante della precedente. Gli effetti prodotti dai gas serra non si fermano ai confini geografici dello Stato che li emette ma neppure possono essere considerati limitati nel tempo. Il biossido di carbonio (CO2) resta molto a lungo in atmosfera, il metano ha una permanenza di qualche decina di anni mentre il protossido di azoto supera di poco il secolo e i gas fluorurati possono arrivare addirittura a decine di migliaia di anni”. Tutto condivisibile, anche se viene da chiedersi perché allora il Mite continua a puntare sul metano come gas di transizione – una storia lunga 100 anni di cui ancora non si vede la fine. Se la transizione ecologica fosse una materia scolastica, il ministero sarebbe promosso sulla teoria e bocciato sulla pratica, perché autorevoli studi e organismi internazionali concordano nel ritenere che sostituire il gas al carbone o comunque continuare ad estrarlo e utilizzarlo in misura uguale o superiore a quella attuale farà mancare l’obiettivo di contenere l’aumento della temperature entro gli 1,5 gradi. Il rischio è che della transizione rimangano gli slogan, come quel “non lasciare indietro nessuno” a cui addirittura viene dedicato un paragrafo. Specie se si considera che nella proposta di Piano si parla spesso di trasparenza, mentre proprio in questa fase è mancata ogni forma di partecipazione e coinvolgimento dei cittadini alla stesura e alla maggior conoscenza tanto del Pnrr quanto del Piano per la transizione.
Fonte: Economiacircolare.com