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Il chiodo fisso del gas, anche per i comuni montani non metanizzati

Il chiodo fisso del gas, anche per i comuni montani non metanizzati

Il rischio di metanizzare comuni delle Province Autonome di Trento e Bolzano e dell’area della Valtellina è stato segnalato dalle associazioni Fiper ed Aiel. Una misura contraria al processo di decarbonizzazione e inefficiente economicamente e socialmente. Le alternative.

Che questo sia il paese che non riesce a prendere le distanze dal gas, lo vediamo anche per quelle aree, oggi non metanizzate, che rischiano di essere collegate ai tubi, secondo alcuni piani regionali

Aree che invece potrebbero trovare soluzioni pulite nelle fonti energetiche rinnovabili, valorizzare il territorio e procedere verso il loro naturale processo di decarbonizzazone.

Dopo la Sardegna, adesso è il caso delle aree montane (Comuni in fascia climatica F) delle Province Autonome di Trento e Bolzano e dell’area della Valtellina.

A mettere in evidenza questo rischio sono FIPER e AIEL, due associazioni che si occupano di utilizzo della biomassa per il riscaldamento.

FIPER lo scorso 5 maggio aveva inviato una segnalazione ad ARERA per evidenziare il rischio di metanizzazione di queste aree montane a scapito dello sviluppo e penetrazione del teleriscaldamento a biomassa.

FIPER ha evidenziato che gli obiettivi di decarbonizzazione impongono l’abbandono delle misure di sostegno agli interventi di metanizzazione in quei contesti in cui sono disponibili soluzioni alternative a basso impatto ambientale, che creano reddito e occupazione sul territorio, quali le reti di teleriscaldamento a biomassa legnosa vergine.

Inoltre, nella revisione della Direttiva sull’efficienza energetica, la Commissione europea ha avanzato la proposta di definire teleriscaldamento efficiente quando alimentato esclusivamente da fonte rinnovabile (attualmente è il 50%), a testimonianza della volontà di valorizzare maggiormente le fonti rinnovabili disponibili sul territorio.

Il presidente Walter Righini confida in un intervento di ARERA, che si era già espressa in tal senso chiedendo una profonda riconsiderazione dell’art. 114-ter del decreto rilancio n.34/2020 che sanciva un obbligo a carico del Regolatore di riconoscere una integrale copertura tariffaria degli investimenti relativi al potenziamento o alla costruzione di nuove reti in comuni metanizzati e/o da metanizzare in fascia climatica F o specifiche zone del mezzogiorno.

Il Consiglio di Stato ha di recente convenuto che “l’obiettivo della metanizzazione non può essere raggiunto ad ogni costo, scaricando sulla collettività spese del tutto inefficienti; e che, quindi, è opportuno che per le zone del Paese dove le reti potrebbero essere realizzate solo a costi spropositati, si valutino soluzioni alternative ugualmente efficaci ma meno costose” (Cons. Stato, 30 gennaio 2020, n. 780).

FIPER ha presentato la proposta di avviare reti di teleriscaldamento a biomassa in 458 Comuni attualmente non metanizzati in fascia climatica E-F per una potenza tra 1-1,5 GW termici che contribuirebbero a conseguire un risparmio di 0,43Mt CO2 e di 0,16 Mtep nei prossimi 5 anni.

Il valore dell’impatto economico risulta compreso tra 450 e 680 milioni di €/anno e tra 5.300-8.000 unità lavorative annue a seconda dello scenario identificato.

Viene poi ricordato da FIPER che il PNRR prevede all’interno della “Missione M2 componente C3” la promozione del teleriscaldamento efficiente.

Righini spiega, a titolo di esempio, che “se un amministratore pubblico o una società privata decidesse di avviare una rete di teleriscaldamento a biomassa di 10 MWt, significherebbe produrre un impatto monetario lunga la filiera mediamente pari a 4,6 milioni di €/annuo”.

Ricordiamo che in Olanda dal 2018 è vietato posare nuove reti di metano; in Francia da gennaio 2021 nei nuovi edifici unifamiliari è vietato l’uso del metano; in Germania dal 2021 chi utilizza il gas deve pagare una tassa che servirà a favorire la transizione verso l’elettrico e dal 2025; in Gran Bretagna nelle abitazioni non si potranno più installare boiler a gas.

Anche secondo AIEL, gli obiettivi di decarbonizzazione fissati dall’Unione Europea impongono un graduale abbandono delle misure di sostegno alle fonti fossili e agli interventi di metanizzazione, specialmente in quei contesti territoriali in cui sono disponibili soluzioni alternative a basso impatto ambientale, in grado di creare reddito e occupazione sul territorio.

Per l’associazione è quindi urgente, partendo proprio dalle aree non metanizzate, sostituire le fonti fossili con le rinnovabili, biomassa legnosa inclusa, impiegata in impianti tecnlogici moderni e performanti in grado anche di migliorare la qualità dell’aria di queste.

La strategia energetica nelle zone rurali e montane dovrebbe fondarsi su piccoli-medio impianti centralizzati a biomassa legnosa, impianti di micro e minicogenerazione, teleriscaldamento e calore di processo, ma anche sulle moderne stufe/caldaie che, grazie ai progressi tecnologici degli ultimi anni, garantiscono alto rendimento, efficienza energetica e basse emissioni di particolato.

“La filiera legno-energia può essere protagonista di una riconversione green dell’economia contrastando i fenomeni di povertà energetica che purtroppo caratterizzano anche il nostro paese, non solo nelle cosiddette aree marginali”, ha detto Annalisa Paniz, Direttrice affari generali e relazioni internazionali di AIEL.-

“Fulcro delle nostre proposte è l’attuazione di filiere energetiche locali rinnovabili, per sostenere la crescita economica dei territori. L’uso sostenibile della risorsa ‘legno locale’, può ridurre in queste aree il tasso di dipendenza dalle fonti fossili, stimolare l’iniziativa economica e l’occupazione. Per farlo è importante supportare l’intera filiera, promuovendo lo sviluppo di imprese forestali moderne, migliorando i tassi di prelievo boschivi secondo il principio della gestione forestale sostenibile e dell’utilizzo ‘a cascata’ del materiale forestale, cioè assicurando priorità nella gerarchia d’uso dei prodotti legnosi, privilegiando il materiale per la falegnameria, l’uso edilizio e industriale e a seguire la valorizzazione energetica. Un esempio virtuoso di economia circolare”.

Utilizzare legna da ardere, pellet e cippato per il riscaldamento sia civile sia di piccole-medie imprese comporta anche benefici socio-economici per i territori, poiché innesca la creazione di filiere locali di approvvigionamento del biocombustibile legnoso.

Uno studio condotto in Austria (Austrian Energy Agency, 2015) ha dimostrato che per riscaldare una casa con il legno sono necessarie 23 ore di lavoro locale all’anno, mentre con i combustibili fossili questo dato si abbassa a 3 ore all’anno nel caso del gasolio e a 1,5 ore/anno nel caso del metano.

Nonostante il patrimonio forestale italiano sia cresciuto in modo consistente negli ultimi 50 anni, arrivando oggi ad occupare il 38% del territorio, è necessario programmare una sua gestione più accorta e intelligente: gli utilizzi rappresentano meno del 30% della crescita annua dei boschi, una quota ben al di sotto della media europea (RAF, 2019) che se aumentata contribuirebbe a ridurre le importazioni dall’estero.

Le bioenergie impiegate nel settore del riscaldamento residenziale in forma di legna da ardere e pellet, sono già oggi la principale fonte energetica rinnovabile impiegata nel nostro Paese, ma molto si può ancora fare per una migliore valorizzazione del patrimonio boschivo nazionale, investendo sul taglio boschivo e la prima lavorazione, e soprattutto sulle filiere corte.

Fonte: qualenergia.it

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