Società benefit: economia al servizio del territorio

Le società benefit sono già qualche migliaio in Italia, ma ancora in pochi sanno cosa sono e soprattutto conoscono le loro potenzialità nel settore delle comunità dell’energia. Ne abbiamo parlato con l’On. Mauro Del Barba, Presidente di Assobenefit – Associazione Nazionale per le Società Benefit.

1. Cos’è esattamente una società benefit? Tutte le aziende possono diventare società benefit?

Le Società Benefit sono le società del futuro, quelle sostenibili per DNA! L’Italia, come Stato sovrano, le ha introdotte per prima attraverso la Legge di Stabilità 2016, che definisce Società Benefit quelle società che nell’esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse. Mentre le società tradizionali perseguono l’unico scopo di profitto, le Società Benefit sono espressione di un paradigma diverso, caratterizzato dal cosiddetto double purpose, dal duplice scopo, includendo il benessere delle persone e dell’ambiente nel proprio operato, pur restando l’impresa for profit

Secondo la normativa, tutti i tipi societari previsti dal codice civile possono utilizzare il modello della Società Benefit modificando il proprio Atto costitutivo/Statuto e inserendo nell’oggetto sociale gli scopi di beneficio comune generale (operare in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti degli stakeholder) e specifico (il perseguimento una o più specifiche finalità di beneficio comune). 

2. Quali sono gli aspetti peculiari della società benefit rispetto a un’impresa che già attua la responsabilità sociale di impresa – CSR?

Essere una Società Benefit vuol dire inscrivere l’impegno a favore dell’ambiente e della società e la propria etica nello statuto aziendale. Ha le sue origini certamente nella Responsabilità Sociale d’Impresa ma ne rappresenta un’evoluzione che la rinnova del tutto: la finalità sociale è obiettivo vincolante, connesso al core business imprenditoriale. Si tratta quindi di una profonda innovazione del concetto stesso di impresa: la Società Benefit, infatti, deve avere una governance differente, che persegua entrambi gli obiettivi e una gestione più allargata e responsabile che, oltre a misurare il valore economico prodotto, valuti l’impatto operato sulla società e lo comunichi in modo trasparente.

3. Perché un’azienda dovrebbe scegliere di trasformarsi in una società benefit? Quali sono i vantaggi?

Oggi le aziende sono tempestate da richieste di sostenibilità e gli imprenditori hanno capito che non si tratta di una moda passeggera, però non sanno bene quali scelte compiere né dove investire. Diventare SB significa scegliere un assetto, giuridico prima di tutto, organizzativo di conseguenza, che consente di affrontare meglio le sfide. Intanto quella del “purpose of corporate”, che chiaramente è pervasivo: nessuna società oggi può permettersi di qualificarsi sul mercato per la sua sola buona Trimestrale. E’ una rivoluzione copernicana! Definire il corporate purpose non è un esercizio di compliance e molte imprese balbettano nel racconto su quale sia il proprio scopo sociale o ambientale rischiando di sfociare continuamente nel greenwashing. Le società benefit, invece, ne fanno una ragione costitutiva, protetta dalla legge; con questo assetto risultano più solide e strutturate nella nuova competizione sostenibile e per questo più attrattive sotto diversi aspetti: dal vantaggio reputazionale e di brand awareness, attraverso la valorizzazione dell’impatto positivo di carattere non finanziario, al talent attraction delle risorse umane; e ancora, tra i benefici, vi rientrano un maggior peso nelle relazioni con banche e investitori finanziari, la possibilità di favorire l’attuazione del modello organizzativo ex D.lgs. 231/2021 e la spinta al miglioramento, che nelle società benefit è continuo e prende in considerazione le proprie performance a 360 gradi.

Chiaramente è importante che cresca anche la disciplina della misura delle valutazioni e dell’impatto, che è uno degli obblighi cui sono sottoposte le società benefit. È un tema a cui si stanno dedicando università, centri studi e di ricerca pubblici e privati e nel futuro siamo certi rivestirà un ruolo importante sia per le società benefit che per le società che ancora non hanno scelto di adottare questa qualifica giuridica.

4. Quante sono le società benefit in Italia? E nel resto d’Europa?

Al 31 dicembre 2022, sono state rilevate 2.626 Società Benefit in Italia (elaborazione basata sull’estrazione dell’Osservatorio Società Benefit Infocamere – Camera di commercio di Taranto, ndr).

5. Quali possono essere le applicazioni delle società benefit nel campo delle bioenergie e delle energie rinnovabili?

Le bioenergie e le energie rinnovabili costituiscono un settore chiave per avanzare sugli aspetti di sostenibilità ambientale, non a caso la tassonomia dell’UE vi ha dedicato una parte preponderante del proprio lavoro di classificazione. Come Assobenefit riteniamo che le società benefit possano qualificare nel modo migliore le imprese che operano allo scopo di promuovere la produzione ed il consumo di energia prodotta da fonti rinnovabili, anche ai fini della costituzione di Comunità energetiche rinnovabili (CER), e non necessariamente solo nella forma di società cooperative. C’è una reale possibilità che anche le società benefit (società S.p.A. SB) possano diventare CER e stiamo lavorando sull’opzione. In ogni caso, come per tutte le imprese, la qualifica di società benefit garantisce una governance più attenta e trasparente rispetto alla gestione dei rischi ambientali e sociali cui le società del settore sono esposte. Inoltre, oltre ai tipici vantaggi, possono godere di maggiore attrattività degli investimenti, maggiore bancabilità, legami col territorio più solidi e capacità di attrarre i giovani talenti al proprio interno.

6. Quali sono gli sviluppi futuri, a livello legislativo, che possono riguardare le società benefit?

Il tema dell’evoluzione normativa è un tema che, come Assobenefit, abbiamo presente da sempre: siamo stati promotori della legge per il public procurement che ha previsto di valorizzare questo tipo di imprese nelle forniture e appalti pubblici, con la possibilità per le stazioni appaltanti di dare dei punti aggiuntivi alle società benefit. Abbiamo inoltre incentivato una norma che assegna al Governo il compito di promuovere le società benefit nella consapevolezza che sia necessario diffondere questa nuova cultura imprenditoriale su tutto il territorio italiano, verso le altre imprese “tradizionali”, gli operatori finanziari e di mercato. Ci proponiamo di presidiare temi che rappresentino la frontiera su cui le società benefit sono chiamate a competere e che potrebbero divenire oggetto anche di evoluzione normativa. Sicuramente con l’arrivo della Direttiva sulla comunicazione societaria sulla sostenibilità (Direttiva CSRD, Corporate Sustainability Reporting Directive) e con la sua adozione nella legislazione italiana sarà utile, se non necessario, porsi il tema di come adeguare gli allegati “A” e “B” della legge sulle società benefit, avendo ben presente un obiettivo: le società benefit vogliono porsi come un modello all’avanguardia nel panorama delle imprese vocate alla sostenibilità e, quindi, devono rimanere nella parte avanzata di questo dibattito. Ciò comporta che di fronte ad uno standard europeo, tutte le società benefit dovranno fare una valutazione d’impatto che sia almeno pari, se non superiore, allo standard europeo.

Le priorità di FIPER per il 2023

Intervista con il presidente di FIPER Walter Righini

Il 2022, che ci lasciamo alle spalle, è stato un anno che non ci scorderemo facilmente. Lo abbiamo accolto con grandi speranze, poiché riponevamo in esso la speranza di uscire definitivamente dalla crisi pandemica, ma ci siamo ritrovati ben presto invischiati in un’altra grave crisi globale, drammaticamente apertasi con la guerra russa in Ucraina. Le ripercussioni sulle nostre vite sono ben note a tutti, con le impennate dei costi delle bollette energetiche di imprese e famiglie e il costante e complicato lavoro diplomatico sul piano nazionale ed europeo per contrastare queste conseguenze potenzialmente nefaste per la nostra economia.

In seguito a tutto ciò, anche in Italia è diventata chiara a tutti ed apertamente esplicitata dal Governo stesso la necessità di renderci indipendenti dalla fornitura di gas dei paesi esteri in generale e da quella russa in particolare, attraverso la spinta e l’accelerazione verso una transizione energetica che ci garantisca la sicurezza di approvvigionamento. Una transizione che presuppone maggiori investimenti sulle energie rinnovabili.

Le bioenergie hanno dimostrato in questa fase di poter essere una reale alternativa al gas russo: i prezzi del teleriscaldamento alimentato a biomasse legnose si sono mantenuti pressoché stabili (subendo al massimo incrementi del 5-10%), mostrando così la loro forza e stabilità grazie ad un sistema locale e sostenibile di approvvigionamento della materia prima, indipendente quindi dai rivolgimenti geopolitici e dalle conseguenti oscillazioni del mercato internazionale dell’energia.

Attualmente le bioenergie rappresentano circa il 60% della quota di energia rinnovabile in Europa, ricoprendo il 13% del mix energetico e generano quasi un milione di posti di lavoro. In Italia contribuiscono al 43% della produzione rinnovabile e all’8% dei consumi totali, con un potenziale sufficiente a sostituire oltre 10 miliardi di metri cubi di gas, vale a dire più del 30% del gas importato annualmente dalla Russia, con ricadute economiche che superano i 37 miliardi di euro all’anno.

Anche a livello governativo il 2023 si apre con una nota positiva: Fiper ha manifestato il proprio apprezzamento per la misura inserita nella legge di bilancio deliberata a fine anno che riduce l’aliquota l’IVA al 5% anche per il servizio di teleriscaldamento, equiparandolo in questo modo alla misura già adottata per la fornitura di gas nel mercato domestico. Un primo segnale verso il perseguimento del mix energetico nel settore del riscaldamento e una scelta che contribuirà a rendere ancora più competitivo il teleriscaldamento rinnovabile, in particolare alimentato a biomassa legnosa. Questa riduzione, volta a calmierare il caro bollette, permetterà anche a chi non si è ancora allacciato alle reti di valutare la convenienza del servizio.

Una misura necessaria, ma non sufficiente! Crediamo, per esempio, che molto si possa ancora fare sul fronte dei fondi volti a sostenere nuove reti di teleriscaldamento efficienti o l’ampliamento delle esistenti: ben più della metà delle richieste pervenute al bando del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, promosso a partire dalle risorse del PNRR, sono infatti rimaste senza finanziamento.

È chiaro che servono molte più risorse se vogliamo raggiungere gli obiettivi che lo stesso PNRR ci impone, sia in termini di rilancio del sistema Paese, sia di risorse elargite e quindi investite. Dal momento che le domande di finanziamento non mancano, chiediamo con forza al Governo che vengano identificate e destinate al più presto risorse necessarie a finanziare tutti i progetti già selezionati rimasti senza un sostegno economico. Non dimentichiamo che il governo tedesco ha allocato ben 2,98 miliardi di euro per il sostegno al teleriscaldamento, una cifra che fa impallidire quella ben più timida di soli 200 milioni di euro stanziata dal nostro governo, la quale infatti è riuscita a finanziare solamente 29 dei 118 progetti presentati dai territori dei quali infatti ben 60 sono stati  dichiarati ammissibili ma non finanziati.

C’è un altro tema su cui Fiper sta lavorando e intende proseguire il proprio impegno, nella convinzione che rappresenti una strategica chiave di lettura del futuro energetico del paese: le comunità dell’energia rinnovabile (CER).

Le CER, infatti, sono state definite dalla Direttiva europea RED II come un modello di autoconsumo collettivo per energia termica ed elettrica, ma l’Italia ha recepito il testo della direttiva limitando le incentivazioni alla sola produzione di energia elettrica derivante da fonti rinnovabili. Fiper ha proposto e continuerà il confronto con le istituzioni affinché la produzione e l’autoconsumo collettivo di energia termica vengano inclusi nel sistema di incentivazione., Del resto, la misura permetterebbe di allinearsi al dettato europeo, dando così maggior stimolo alla nascita di nuovi sistemi di teleriscaldamento locali sostenibili e a filiera corta, in particolare nelle zone montane del Paese, che possano rappresentare per queste ultime un reale motore di sviluppo territoriale.

Proprio con quest’ottica Fiper sta lavorando alla costruzione di una comunità dell’energia in Valtellina per dotare i tre comuni di Mazzo di Valtellina, Lovero e Tovo Sant’Agata di un sistema di teleriscaldamento a biomasse legnose vergini, materia prima abbondante nei boschi privati e pubblici dei tre comuni.

Lo studio di prefattibilità di questo progetto, che si prefigge obiettivi ambientali (quali l’abbattimento delle emissioni in atmosfera e la gestione sostenibile dei boschi attualmente abbandonati) e socioeconomici (come la riduzione dei costi di approvvigionamento dell’energia e l’avvio di una filiera locale che parte dalla gestione delle foreste e finisca ad alimentare l’impianto di teleriscaldamento) è stato possibile grazie alla partecipazione nel progetto europeo BeCOOP, di cui Fiper è partner pilota per l’Italia e che entra nel terzo e ultimo anno di attività.

L’esperienza del progetto BeCOOP ha dimostrato quanto sia importante la presenza in una dimensione europea per una realtà come Fiper, se vogliamo continuare ad essere avanguardia dei temi più innovativi e creare una rete sovra nazionale nella quale sperimentare le nuove frontiere del comparto e portare in luce, nei luoghi decisivi, le istanze del settore.

Non a caso ci siamo ricandidati come componenti del board europeo Bioenergy Europe e siamo soddisfatti di essere stati riconfermati. È matura ormai la consapevolezza che sia fondamentale per la Federazione partecipare attivamente al lavoro di lobby che viene svolto direttamente a Bruxelles, dove le maggiori decisioni in materia di energia sono formulate e deliberate.

In particolare, ancora aperta è la questione relativa alla definizione di “biomassa legnosa primaria” all’interno dell’iter deliberativo della RED III.  È necessaria una continua vigilanza, affinché non si commetta l’errore di varare una norma che finisca per deprimere pesantemente la filiera bosco-legno-energia e l’uso a cascata del legno, divenendo in questo modo un vero ostacolo al rilancio del settore delle bioenergie, oltre che una vera e propria contraddizione con gli obiettivi della stessa Unione Europea.

L’anno che si è appena aperto ci vedrà impegnati anche nello studio e approfondimento, nel settore delle bioenergie, delle potenzialità delle società benefit le quali attualmente sono circa 2500 in tutt’Italia, distribuite nei più diversi settori produttivi. In questo campo si può aprire infatti un’interessante opportunità per le aziende che producono energia da fonti rinnovabili in quanto realtà già impostate come imprese con un approccio attento alla sostenibilità sociale e ambientale e che quindi possono abbastanza facilmente migrare verso questo tipo di configurazione giuridica, usufruendo di alcune agevolazioni e fondi ancora poco sfruttati in Italia.

In conclusione, possiamo affermare che il 2023 si presenta denso di appuntamenti importanti e sicuramente impegnativo e laborioso perché si trasformi questa crisi energetica in un forte accelerazione verso l’impiego delle fonti rinnovabili, attuando di fatto una transizione reale verso un’economia a basse emissioni e la creazione di nuovi posti di lavoro. Per l’Italia, una grande occasione di crescita e sviluppo sostenibile! Fiper continuerà a vigilare e non mancherà di far sentire la propria voce ogni volta che ce ne sarà bisogno, nella consapevolezza che gli obiettivi dei produttori di energie da fonti rinnovabili siano, oggi più che mai, gli stessi di tutto il Paese e dell’Europa.

Il nuovo presidente di Bioenergy Europe: le bioenergie sono il nostro futuro!

Lo scorso 23 novembre il board europeo Bioenergy Europe ha eletto il nuovo Presidente, l’austriaco Christoph Pfemeter, della Austrian Biomass Association. Fiper lo ha subito intervistato per capire quali saranno le principali direttrici delle sue azioni in veste di presidente.

Intervista con Christoph Pfemeter, President Bioenergy Europe

Ora che è stato eletto nuovo Presidente di Bioenergy Europe, quali saranno le priorità per l’associazione?
 Le negoziazioni relative al Green Deal sono andate nella direzione sbagliata: porre obiettivi molto alti sull’energia rinnovabile e la decarbonizzazione, senza aumentare e sostenere l’uso delle bioenergie non può funzionare. Sentir etichettare il gas fossile o l’energia atomica come “green” sembra uno scherzo. Dobbiamo invece riportare nella nostra agenda la diffusione ed espansione delle bioenergie.

Quali sono le principali sfide che la filiera del legno deve fronteggiare nel breve e luongo periodo?
Nel breve termine, una delle sfide più grandi sarà quella di fronteggiare l’andamento incoerente dell’UE, con tutti gli oneri che la Commissione e il Parlamento dell’UE cercano di imporre ai settori forestale e bioenergetico. La RED II non è stata pienamente attuata e per la RED III stiamo ancora discutendo di enormi cambiamenti. Abbiamo bisogno di maggiori investimenti nel nostro settore, invece di complicati e pesanti regolamenti UE e di incertezze, che si basano solo su decisioni emotive. Dobbiamo tutti massimizzare il potenziale delle energie rinnovabili e lasciare che la biomassa sostenibile entri nel mercato, eppure, allo stesso tempo, il Parlamento europeo sta discutendo di limitazioni all’uso della biomassa. Questo porterebbe a carenze, prezzi volatili e, di conseguenza, a case fredde e a un maggiore utilizzo di energia fossile.

La gestione sostenibile delle foreste è fondamentale per garantire sufficienti serbatoi di carbonio e per prevenire i rischi idrogeologici. Quali azioni intende intraprendere Bioenergy Europe per sensibilizzare l’opinione pubblica e i politici sulla necessità di pratiche di gestione forestale sostenibile, come i piani annuali di taglio e potatura degli alberi, se vogliamo garantire la salute delle foreste
Dobbiamo essere molto chiari nei nostri messaggi e alzare la voce su questo argomento: abbracciare gli alberi è un bell’hobby e può essere un modello di business per alcune persone e ONG, ma non è una soluzione per combattere efficacemente il cambiamento climatico e rafforzare la salute delle nostre foreste. La bioenergia è una parte integrata e importante della gestione sostenibile delle foreste: su questo non c’è alcun dubbio.

Quali strumenti ha a disposizione l’UE per chiarire una volta per tutte che il legno è una risorsa rinnovabile?
La UE dovrebbe cambiare la sua attuale politica. Abbiamo bisogno di nuove iniziative per l’utilizzo di legno di alta qualità, come il New European Bauhaus, per sostenere le costruzioni in legno. Per ogni tonnellata di legno massiccio che utilizziamo come materiale da costruzione in un edificio, abbiamo 6-10 tonnellate di sottoprodotti (dalla foresta fino al cantiere) che possono essere utilizzati per l’energia e per sostituire i combustibili fossili. La gestione sostenibile delle foreste garantisce elevati stock di carbonio; le costruzioni in legno immagazzinano carbonio; le bioenergie sostituiscono i combustibili fossili e possono persino fornire tecnologie a emissioni negative come BECCS (Bioenergy with carbon capture and storage)  o il BioCoal, soprattutto quando non c’è più richiesta di sostituzione dei combustibili fossili. Le sinergie tra i settori della silvicoltura, della lavorazione del legno e delle bioenergie formano una squadra imbattibile per la lotta al cambiamento climatico.

Come pensa di portare la sua esperienza nel settore forestale e nella politica dell’UE nel suo nuovo ruolo di presidente?
La bioenergia è un’energia prodotta dalla terra. Viene gestita dalle regioni rurali in modo concreto e sostenibile. È innegabile che le politiche climatiche siano spesso guidate dalla preoccupazione delle città per l’ambiente e il clima e siano altamente teoriche. Questo porta a molti fraintendimenti. In Austria abbiamo trovato un buon equilibrio tra teoria e pratica e le cose stanno andando avanti. Questo perché  entrambe le parti hanno un interesse vitale a rimanere al di sotto di 1,5 gradi Celsius ed entrambe sono disposte a lavorare a stretto contatto. Mi impegnerò a fondo per cercare di metterle in contatto anche a livello europeo.

Abbiamo milioni di persone che utilizzano le bioenergie e che lavorano nel settore, in migliaia di piccole e medie imprese. Dobbiamo usare il loro potere, le loro conoscenze e le loro reti per mostrare ai politici dell’UE ciò che abbiamo già realizzato e per convincerli che dobbiamo proseguire nel sostituire ulteriormente i combustibili fossili. La politica dell’UE si basa attualmente su un grande mercato unico armonizzato e tende a implementare soluzioni uniche. Questo potrebbe funzionare per le aziende produttrici di combustibili fossili, che sono oligopoli che partecipano al commercio internazionale. Le bioenergie, invece, si basano su molte risorse diverse e su vari usi regionali, ciascuno adattato alle condizioni locali. In totale, meno del 5% dell’uso europeo di bioenergia proviene dal commercio con i Paesi terzi.

Qual è la sua visione per il future del settore delle bioenergie?
Il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di costruire un sistema energetico privo di combustibili fossili, insieme all’eolico, all’idroelettrico, al fotovoltaico e alle altre fonti rinnovabili, entro i prossimi 20 anni. Sono convinto che le bioenergie sostenibili lo rendano possibile e che rimaranno una fonte energetica rinnovabile fondamentale, nel settore del riscaldamento, dell’industria e dei trasporti. La rilevanza della bioenergia diventerà sempre più evidente, in quanto integra le fonti rinnovabili intermittenti grazie alla sua immagazzinabilità e flessibilità.

Quali sono le sue aspettative sul risultato dei negoziati sulla RED?
Le politiche energetiche basate su campagne emotive delle ONG possono portare a risultati errati. Nelle regioni con scarsa esperienza in materia di silvicoltura sostenibile, queste campagne hanno un’enorme influenza su chi prende le decisioni. Tuttavia, sono convinto che gli Stati membri abbiano più buon senso e che in futuro punteranno sulle bioenergie. Sulla base delle statistiche energetiche e della fiducia nelle istituzioni forestali, i responsabili politici sanno che non riusciranno a passare alle energie rinnovabili e alla decarbonizzazione senza ricorrere alle bioenergie.

Se avesse una bacchetta magica e potesse cambiare una cosa nel contesto della legislazione attuale, quale sarebbe
Implementerei criteri minimi per gli standard sociali e ambientali per i combustibili fossili. Non li chiamerei criteri di sostenibilità, perché i combustibili fossili non possono essere prodotti in modo sostenibile, ma al momento la bioenergia è l’unica fonte energetica che deve rispettare gli standard ambientali. Sebbene ritenga che questi criteri siano importanti per garantire le best practices per la bioenergia, quando si tratta di combustibili fossili nessuno fa richieste simili. Siamo tutti d’accordo sul fatto che i combustibili fossili siano dannosi e che debbano essere gradualmente eliminati, ma se avessimo questi standard minimi, faremmo luce su quanto siano dannosi e metteremmo in chiara evidenza il costo effettivo del loro continuo utilizzo.

Più di 550 scienziati chiedono per il clima una gestione sostenibile dei boschi

La comunità scientifica si mobilita per sostenere la gestione sostenibile dei boschi e maggiore attenzione da parte delle istituzioni europee: 550 scienziati e ricercatori del settore ambiente-foreste-energia firmano una lettera per chiedere regole concrete e applicabili per preservare le foreste dall’incuria, mantenerle vive, sane, produttive e renderle protagoniste della transizione energetica.

Bioenergy Europe, il board europeo che raccoglie le associazioni dei vari paesi produttrici di energia da biomassa, diffonde questa lettera e auspica maggiore attenzione e sensibilità da parte delle istituzioni europee verso il settore.

Fiper si fa promotrice di questa campagna e si impegna per la diffusione della corretta informazione sulla produzione e sull’uso a cascata del legno e sulla filiera bosco-legno-energia, affinché diventi chiaro quanto importante sia questo settore per la realizzazione della transizione energetica in Italia e in Europa.

Bioenergy Europe accoglie con favore la lettera aperta mandata oggi ai presidenti europei Ursula Von der Leyen, Charles Michel e Roberta Metsola, nella quale viene indicato un ampio sostegno scientifico al settore forestale e della bioenergia.

Firmata da più di 550 scienziati, e con il supporto della comunità scientifica internazionale, la lettera chiede per il clima una gestione intelligente dei boschi. Infatti, i boschi giocano un ruolo fondamentale per il nostro ambiente, poiché immagazzinano carbonio e sono in grado di mitigare i cambiamenti climatici, aumentando al contempo la biodiversità. Tuttavia, il cambiamento delle condizioni climatiche, che mette sempre più a rischio i nostri boschi, può essere ridotto solo con una gestione sostenibile ed uso di prodotti, sottoprodotti e residui forestali, così da assicurare un’economia sostenibile e la produzione di energia rinnovabile.

La lettera sottolinea che è possibile evitare le emissioni di CO2 da combustibili fossili esclusivamente attraverso una corretta gestione dei boschi e dell’utilizzo a cascata del legname. La gestione dei boschi si concentra sul mantenimento della salute dei boschi stessi e sulla produzione del legno, ma un inevitabile sottoprodotto della raccolta, della lavorazione e della produzione, è la generazione di materiale di bassa qualità che ha un uso limitato o nullo oltre a quello energetico.

I vantaggi climatici dei prodotti in legno sono numerosi, in quanto possono essere utilizzati per creare oggetti di lunga durata, sostituendo materiali a più alta intensità energetica. Inoltre, possono costituire una fonte di energia rinnovabile, creando sinergie con altre industrie forestali e contribuendo in modo significativo alla politica climatica dei Paesi dell’UE. La transizione energetica è una componente integrale di un bosco ben gestito e dei relativi prodotti in legno, si legge nella lettera.

I negoziati in corso a livello europeo sulla direttiva sulle energie rinnovabili rappresentano una grande opportunità per aumentare le ambizioni ambientali. Tuttavia, un divieto dell’uso del legname proveniente da boschi gestiti in modo sostenibile, per la produzione di energia, non porterebbe ad alcun vantaggio per la biodiversità e ostacolerebbe una bioeconomia circolare.

La lettera conclude che una gestione forestale sostenibile, che mantenga costanti i volumi di boschi e ne utilizzi solo l’accrescimento per uso a fini produttivi ed energetici, è “intelligente dal punto di vista climatico”.

Secondo l’autore principale, il Prof. Roland Irslinger, il termine Climate Smart Forestry (CSF) integra gli obiettivi climatici con la gestione forestale. La CSF non significa soltanto immagazzinare carbonio negli ecosistemi forestali/boschivi, ma include la riduzione delle emissioni di gas serra, l’aumento della resilienza dell’ecosistema forestale, i criteri per la biodiversità e l’aumento sostenibile della produttività e del reddito dei proprietari forestali nella strategia di gestione forestale. Il QSC tiene conto delle peculiarità regionali, dei fattori naturali e delle circostanze socioeconomiche degli Stati membri dell’UE. Cerca sinergie con altre politiche che possono avere un impatto sul settore forestale, come le politiche rurali, industriali, energetiche e della biodiversità. 

Irene di Padova, direttore delle politiche di Bioenergy Europe, sottolinea: L’attuale discussione sulla gestione sostenibile dei boschi e sulla bioenergia è spesso guidata da pregiudizi e non riflette la realtà secondo la letteratura scientifica e forestale. Se vogliamo raggiungere gli obiettivi climatici dell’UE, dobbiamo trovare regolamenti e linee guida praticabili e applicabili che tengano conto della multifunzionalità dei boschi.

Leggi la lettera degli scienziati

L’importanza di “coltivare” il bosco

Intervista con Maria Rita Gallozzi, certificatrice di gestione forestale e vice presidente di FSC Italia.

Oggi più che mai i boschi possono essere una grande risorsa per i cittadini dei comuni montani italiani, una risorsa che può permettere loro di produrre energia con costi contenuti, in modo sostenibile per l’ambiente e attivando una filiera a chilometro zero. Ma non solo: tutto ciò farebbe bene ai boschi che verrebbero mantenuti, curati, coltivati, mentre oggi spesso sono abbandonati, si ammalano, invecchiano. Ne abbiamo parlato con Maria Rita Gallozzi, certificatrice di gestione forestale e vice presidente di FSC Italia.

1. Dal suo osservatorio specialistico di esperta forestale, qual è lo stato dell’arte del patrimonio forestale italiano?
Per rispondere, uso le parole della dott.ssa Alessandra Stefani, collega che oggi dirige la Direzione Nazionale Foreste al MIPAAF: “L’Italia è un paese forestale e la nostra prima sfida è farlo capire agli italiani, che nella maggior parte dei casi, non sanno di vivere su un territorio attualmente ricoperto per un terzo di boschi”.
Per cui, tenendo conto che in Italia la superficie boschiva, dal 2005 al 2020, è aumentata di circa 590.000 ettari, come riportato dall’ultimo INFC (Inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi forestali di carbonio) e che negli anni Venti nel nostro Paese potevamo contare su un patrimonio di circa 4 milioni di ettari di boschi, mentre attualmente siamo passati a 11 milioni di ettari, direi che il nostro patrimonio forestale gode di buona salute.
Unico rilievo che occorre evidenziare è che in molti casi mi capita di girare in boschi “abbandonati”, non gestiti, perché magari il proprietario o il gestore è irrintracciabile o semplicemente sceglie di non fare nessun intervento forestale: in questi casi, mi capita di osservare il degrado dell’area forestale che sto percorrendo. L’abbandono del bosco, purtroppo, è frequente nel nostro paese ed è causa diretta di dissesto idrogeologico e incendi.

2. C’è chi dice che il bosco vada lasciato crescere senza intervento umano. Secondo le pratiche forestali, qual è l’atteggiamento o il comportamento che bisognerebbe tenere in caso di alberi malati?
I monaci camaldolensi, autori del Codice Forestale Camaldolense e custodi gelosi del patrimonio boschivo dell’Appennino Tosco Emiliano, ne codificarono lungo i secoli la gestione in una serie di norme, che costituiscono il cosiddetto “Codice forestale camaldolese”, nel quale si legge “il bosco va coltivato senza scemarne la bellezza”. Custodire e coltivare: questa è la base di una gestione sostenibile dei boschi. Si può, in sostanza, tagliare gli alberi, valorizzando il “prodotto legno” (e non solo), senza danneggiare in alcun modo l’ambiente.
Una foresta sana rallenta l’erosione del suolo, gli smottamenti del terreno e le inondazioni. Supporta una varietà di biodiversità, cattura CO2, genera ossigeno e filtra l’acqua. Naturalmente, la foresta produce legno, una risorsa rinnovabile che sta diventando il materiale del futuro offrendo un’alternativa sostenibile ai combustibili fossili.
Infine, una foresta “gestita” è una foresta accessibile e accogliente per le numerose attività ricreative che possono offrire ai visitatori amanti della natura, come l’escursionismo, la mountain bike, e il sempre più attuale “forest bathing” comunemente definito come “benessere forestale”.
In caso di “alberi malati” occorre valutare di volta in volta la situazione: singoli alberi “morti in piedi” (come si usa dire in termini forestali) sono spesso lasciati in bosco in quanto rifugi e tane per animali e uccelli; stesso discorso vale per quelli che sono a terra: saranno utili ai microrganismi decompositori e di conseguenza al suolo, che si arricchirà di sostanza organica.
Il discorso è diverso in caso di attacchi violenti di patogeni su interi popolamenti forestali: in questo caso occorrono azioni specifiche per limitare l’infestazione, azioni che possono includere anche dei tagli non previsti del soprassuolo arboreo. In questi casi, molto spesso, il legname infestato viene comunque utilizzato come biomassa.

3. Cosa significa ed è possibile fare una gestione sostenibile del bosco? Quali sono i vantaggi, di “coltivare” il bosco?
Rinnovare le foreste, produrre legno per diversi usi, preservare la biodiversità, accogliere il pubblico, prevenire i rischi di incendio, migliorare la resistenza delle foreste al riscaldamento globale: questi sono gli obiettivi della gestione forestale (o selvicoltura). La gestione forestale sostenibile consente proprio questo: preservare la foresta nel suo complesso, le sue funzioni e la sua biodiversità.
C’è una gestione sostenibile quando la “manutenzione” del bosco mantiene la foresta in crescita e garantisce un sano equilibrio tra funzioni economiche, ecologiche e sociali e questo si verifica quando la crescita degli alberi rimane più importante della loro mortalità e del prelievo legnoso.
Non va dimenticato però che la raccolta del legname fa parte del ciclo di vita delle nostre foreste: tagliare un albero non è un “crimine ambientale”.
Se il taglio è fatto applicando le regole selvicolturali e se è definito da un Piano di Gestione Forestale, non ci sono problemi nel tagliare un bosco e, in più, se ad occuparsi della gestione sono operatori specializzati, si ha la garanzia che saranno rispettate le regole della selvicoltura naturalistica, implementando interventi specifici ed effettuando prelievi di materiale legnoso che non vanno mai oltre il livello di “ricrescita” (ripresa) annuale del bosco: cioè non si taglia mai più del legno che il bosco produce in 1 anno!
I tagli di “diradamento”, “miglioramento” o “rigenerazione” permettono agli alberi di beneficiare di luce e risorse sufficienti per rinnovarsi e crescere, l’importante è avere sempre in mente che un bosco non è solo uno stock di legno da sfruttare.

4. Che tipi di sistemi di tracciabilità ci sono per garantire che il bosco sia trattato secondo i criteri di sostenibilità definiti dall’Unione europea?
In tutti i settori di attività, i governi, la società civile e, in ultima analisi, i consumatori chiedono una maggiore trasparenza sull’”origine dei prodotti” per garantire che soddisfino determinati criteri di qualità. Il settore forestale non fa eccezione a questo problema, e anche in questo caso, è necessario che la materia prima lavorata, vale a dire il legno, provenga da fonti che rispettino il quadro giuridico locale e l’ambiente forestale. Per soddisfare questi requisiti, diverse aziende forestali hanno implementato una “catena di custodia” per i loro prodotti.
Qui entra in gioco il concetto di “tracciabilità”, che è un processo che permette di identificare l’origine e di rintracciare un prodotto attraverso le varie fasi della filiera. In ambito forestale, ciò significa essere in grado di tracciare un prodotto dalla fase di prelievo della materia prima dal bosco alla sua lavorazione, fino alla commercializzazione del prodotto finito.
Quindi, un sistema di tracciabilità è usato per verificare che la materia prima per i prodotti in legno derivi da fonti legali, responsabili o comunque accettabili.

Per soddisfare il desiderio dei consumatori di acquistare legno “pulito”, sono stati creati diversi schemi di certificazione delle foreste e dei prodotti in legno: si assicura ai consumatori che stanno acquistando legno proveniente da foreste gestite in modo sostenibile e con metodi di prelievo della materia prima rispettosi dell’ambiente. Gli schemi di certificazione più sviluppati sono l’FSC (Forest Stewardship Council) e il PEFC (Programme for the Endorsement of Forest Certification Schemes).
La certificazione forestale attesta la gestione sostenibile della foresta e il rispetto delle sue funzioni ambientali, sociali, paesaggistiche ed economiche.

Insomma, dopo questa escursione nel settore forestale italiano, quello che è importante far emergere è che un bosco ben utilizzato e gestito è un bosco sano, che racconta la storia del territorio in cui è inserito e della sua interazione con l’uomo; è un bosco che fornisce in modo ottimale la risorsa legno di cui oggi abbiamo sempre più bisogno e, soprattutto, è la dimostrazione che il taglio di un albero non comporta la distruzione del bosco stesso, ma anzi ne favorisce la rinnovazione e la conservazione.

La ricetta per far fronte alla difficoltà del mercato dell’energia in Italia? Le biomasse ingrediente importante!

Intervista con il dott. Stefano Cavriani, Founder & Director – EGO Group.

Si è appena concluso il G7. Uno dei temi “scottanti” dell’agenda è la necessità di esplorare con i partner internazionali diversi modi per frenare l’aumento dei prezzi dell’energia, inclusa la fattibilità dell’introduzione di price cap temporanei alle importazioni di gas e di petrolio ove appropriato.

In questo scenario in continuo divenire, in cui l’Unione Europea spinge a livello mondiale per accelerare il processo di transizione ecologica, ci si interroga sulle prospettive del mercato energetico nazionale.

Approfondiamo il tema con il dott. Stefano Cavriani, Founder & Director – EGO Group.

1) Dal suo osservatorio, qual è lo stato di salute del mercato dell’energia italiano nell’affrontare la crisi ucraina e la messa in atto del green deal?

L’Italia ha scelto 35 anni fa di puntare sul metano come propria fonte energetica principale e preponderante (famoso fu infatti lo slogan “il metano ti dà una mano”). Attualmente il metano copre circa il 45% del fabbisogno di energia, percentuale quasi doppia rispetto alla Germania (26%). In pratica l’Italia è di gran lunga il Paese occidentale più dipendente dal gas.

Negli anni, i modesti giacimenti italiani si sono esauriti e da ormai 10-15 anni l’import dall’estero copre il 90% del ns. fabbisogno. In particolare, la Russia fino al 2021 è stato il principale fornitore con circa 30 miliardi mc/anno (rispetto al consumo totale pari a circa 70 miliardi mc/anno). L’altro grande fornitore è l’Algeria (20 miliardi mc/anno).
La stragrande maggioranza del gas da noi consumato arriva via tubo, quindi abbiamo una capacità di rigassificazione abbastanza scarsa (3 rigassificatori: Panigaglia, Livorno e Porto Viro per totali 15 miliardi mc/anno nominali). I rigassificatori sono necessari per ricevere il gas LNG via nave (forniture alternative ai flussi via tubo).

È evidente che in un simile scenario la diversificazione delle fonti energetiche è essenziale, a maggior ragione adesso che il gas dalla Russia non è più garantito e che i prezzi della materia prima sono esplosi (fatto dipendente dalla guerra in corso ma anche da trend più profondi già in atto a prescindere da quest’ultima).
Purtroppo, la spinta sulle fonti rinnovabili si è arenata e negli ultimi 8-10 anni la realizzazione di nuovi impianti è molto rallentata, non solo per il quasi totale azzeramento di incentivi ma anche e soprattutto per l’ostracismo da parte degli enti incaricati di rilasciare le autorizzazioni.

Adesso finalmente l’approccio politico, anche da parte del Governo centrale, pare cambiato e il ritmo di rilascio delle autorizzazioni è fortemente accelerato (almeno 2 GW tra 2021 e inizio 2022), ma la realizzazione effettiva degli impianti è difficoltosa a causa della carenza di materiali (per i noti restringimenti sulle catene di approvvigionamento post-pandemia) e dell’impennata dei costi di investimento: quindi l’aumento delle autorizzazioni non corrisponde necessariamente a un aumento della capacità installata.
In estrema sintesi, l’Italia adesso ha finalmente deciso di affrancarsi dal gas, ma non ha le infrastrutture necessarie e impiegherà anni per colmare le proprie lacune.

Queste difficoltà si traducono in prezzi dell’energia ai massimi livelli in Europa (e nel mondo): dopo quasi 20 anni (2004-2020) a prezzo medio di 60 Euro/MWh (+25% rispetto a Germania e Francia), il prezzo dell’energia è esploso (non solo in Italia): nel 2021 si sono superati i 125 Euro/MWh e nella prima metà del 2022 si sono raggiunti i 250 Euro/MWh. In questo momento il prezzo spot supera i 350 Euro/MWh a causa di alcune contingenze specifiche (la siccità al Nord riduce moltissimo la produzione dagli impianti idroelettrici e dai termoelettrico posizionati lungo il Po).
Le previsioni di prezzo rimangono elevatissime anche per i prossimi 2-3 anni (prezzo medio atteso 150-200 Euro/MWh). Dopo il 2025 non ci sono quotazioni, lo scenario è quanto mai incerto ed è impossibile fare previsioni.

Queste semplici considerazioni ci portano purtroppo a concludere che l’energia in Italia è molto cara e priva dei necessari requisiti di sicurezza e affidabilità, oltreché, come noto, non sufficientemente decarbonizzata. In estrema sintesi possiamo dire che lo stato di salute è tutt’altro che buono.

2) Nel PNRR il Governo ha dato grande enfasi allo sviluppo di fotovoltaico, eolico e biometano. Le altre fonti rinnovabili, tra cui le biomasse, sembrano non interessare. Qual è la sua analisi rispetto a questa grave “dimenticanza”? Crede ci possano essere margini correttivi?

Attualmente quando si parla di fonti rinnovabili ci si riferisce essenzialmente a fotovoltaico ed eolico. Certamente il fotovoltaico è la fonte più versatile e prontamente disponibile, ma chiaramente necessita di essere abbinato a sistemi di accumulo per essere esercito in modo regolare e programmabile.
Anche l’eolico è interessante, ma la ventosità italiana è irregolare e non sempre particolarmente forte. Anch’esso, ovviamente, necessita di sistemi di accumulo per ottenere un minimo di flessibilità e regolarità.

Ma stante lo scenario problematico come quello descritto sopra è evidente che dobbiamo sfruttare tutte le risorse disponibili, prima possibile e più possibile. L’Italia è un Paese ricco di boschi e di risorse legnose, è dunque assurdo non puntare fortemente anche sulle biomasse. Tra l’altro queste fonti sono programmabili e gestibili, quindi costituiscono un perfetto complemento rispetto al fotovoltaico e alle altre fonti non programmabili.
Puntare anche sulle biomasse significa ovviamente investire in nuovi impianti ma allo stesso tempo salvaguardare gli impianti esistenti, che in Italia sono numerosi, distribuiti sul territorio e un patrimonio di infrastrutture prezioso.

Certamente la logica degli impianti a biomasse “solo-elettrici” è ormai superata. Produrre energia elettrica con un rendimento inferiore al 20%, adesso che la materia prima è molto costosa, ha poco senso. Viceversa, l’abbinamento di energia elettrica ed energia termica (impianti termoelettrici cogenerativi a biomasse) rappresenta la forma più efficiente (e quindi intelligente) di utilizzo delle risorse.
Per quanto concerne il biometano, molti impianti a biogas (in Italia ce ne sono circa 1.300) potrebbero essere convertiti, ma al momento il settore è un po’ fermo in attesa del nuovo decreto MITE. Anche il biometano da FORSU è interessante, ma la materia prima utilizzabile non è abbondante. Sicuramente il biometano può essere una risorsa importante, ma è prima di tutto necessario aggiornare e rendere certo il quadro normativo.

Come “green-gas” (gas di origine rinnovabile) personalmente ritengo molto più interessante il biometano rispetto all’idrogeno (per la cui produzione servono elettrolizzatori alimentati da energia elettrica ed enormi quantità di acqua). L’idrogeno potrà svolgere un ruolo interessante in chiave di flessibilità della rete elettrica (accumulo di lungo termine di energia elettrica prodotta in eccesso in certe ore o in certe stagioni), ma ritengo poco sensato immaginare di bruciare l’idrogeno per produrre energia termica (caldaie residenziali o simili) – sempre che sia possibile portarlo nelle case o presso le utenze mediante le normali tubazioni esistenti. Per produrre il calore è molto meglio utilizzare fonti locali come le biomasse, laddove disponibili, veicolandolo “semplicemente” mediante acqua calda.

3) Elettrificazione dei consumi, smart grid, comunità dell’energia rinnovabile: si assiste ad una forte accelerazione nel sostituire il vettore termico con elettrico. Fino a che punto il Sistema Paese è in grado di soddisfare a prezzi competitivi la domanda crescente di energia elettrica? Che ruolo può giocare a suo avviso il comparto termico rinnovabile nella transizione ecologica?

Per i motivi detti sopra l’energia elettrica in Italia è destinata a rimanere costosa per molto tempo. Inoltre, l’incremento dei consumi elettrici porrà notevole pressione sul sistema energetico italiano. Già oggi, molto banalmente, l’impennata dei consumi da condizionamento estivo provoca black-out diffusi e incontrollabili in una metropoli come Milano.

Immaginiamoci cosa potrebbe succedere in caso di incremento significativo e troppo veloce dei consumi elettrici (riscaldamento in primis) qualora le reti non fossero adeguatamente potenziate, sia in termini di potenza di picco gestibile, sia in termini di capacità di gestione “intelligente”. Questo non significa che non dobbiamo puntare sull’elettrificazione, ma tutto va fatto in maniera razionale ed equilibrata. Ciò significa utilizzare in modo intelligente le risorse.

Laddove è possibile disporre di energia termica a costo competitivo e da fonte rinnovabile è evidente che è opportuno (anzi mandatorio) sfruttare pienamente tale risorsa.

Gli impianti termoelettrici cogenerativi a biomasse distribuiti, inseriti in modo armonioso e integrato nel territorio, sono e saranno sempre una risorsa energetica fondamentale. Rinunciarvi sarebbe l’ennesimo errore commesso nella politica energetica italiana, che tende sempre a inseguire una salvifica soluzione “unica”, che non esiste.

Trentino Energia Verde: imprese unite per una provincia 100% rinnovabile!

Intervista il neoeletto presidente dr. Andrea Ventura, AD di Bioenergia Fiemme.

Da sempre nell’immaginario collettivo, Trentino è sinonimo di foreste di abeti rossi, Dolomiti e turismo attento alla tutela dell’ambiente.

In questo contesto culturale 11 i soci fondatori, che hanno promosso l’avvio dell’Associazione Trentino Energia Verde. ACSM teleriscaldamento SpA di Primiero, Eneco Energia Ecologica srl di Predazzo, Bio Energia Fiemme SpA di Cavalese, EuroBio Energy srl di Tesero, ‘Bioenergy Anaunia SpA di Fondo, Fellin Energia di Revò, Tonale Energia srl di Vermiglio, Enerprom srl di Pejo, MEM srl di Dimaro oltre ai Comuni di Altavalle in val di Cembra e Pellizzano in val di Sole: una compagine formata da multiutility, comuni, operatori di teleriscaldamento a biomassa.

Approfondiamo il tema con il neoeletto presidente dr. Andrea Ventura, AD di Bioenergia Fiemme.

1. Quali sono gli elementi che vi hanno spinto a costituire l’associazione proprio in Trentino, territorio da sempre vocato all’impiego delle fonti rinnovabili e in particolare alla filiera legno?

Il confronto e la volontà di fare rete tra operatori del Trentino della filiera bosco legno energia era sul tavolo da qualche tempo. Abbiamo deciso di avviare un percorso di condivisione delle varie esperienze di produzione rinnovabile partendo proprio dalle biomasse che rappresentano un fattore di sviluppo strategico per il nostro territorio.

2. A che modello di sviluppo territoriale l’Associazione si ispira per promuovere fattivamente una reale economia circolare?

Il Trentino ha sempre rappresentato un modello di sviluppo dei territori di montagna. L’Associazione si pone l’obiettivo di stimolare questo sviluppo anche nel settore energetico che è oggi un tema centrale per imprese e famiglie.

3. Che margini di sviluppo potrebbe rivestire l’economia del legno a partire dal suo osservatorio per il Sistema produttivo ed energetico italiano?

In Trentino il comparto legno è storicamente un pezzo importante della nostra economia. L’uso del legno e la sua valorizzazione sono parte del DNA di questa terra che deve continuare a favorire processi di innovazione industriale, lavorando anche sullo sfruttamento degli scarti a i fini energetici. Su questo vogliamo essere partner delle Istituzioni locali per stimolare politiche che riescano a mettere al centro i territori garantendo occupazione e crescita anche nelle valli alpine e nei territori più periferici per contribuire al sostegno della montagna.

4. Quali sono i principali limiti e vincoli attuali per la messa in atto di una reale economia circolare che si basa su un sistema di produzione e consumo di energia rinnovabile a km zero?

Manca una visione globale. Una visione di sistema. Se il km zero e l’economia circolare sono davvero così importanti, la politica deve essere coerente. E deve stimolare investimenti che partono dai territori favorendo iniziative che poggiano su questi capisaldi. La generazione di energia rinnovabile distribuita e decentrata, ad esempio, non solo è più sostenibile ma anche più attenta alle popolazioni locali. Vanno rimossi vincoli burocratici e ideologici che in questa nuova fase storica rischiano di bloccare un’autentica transizione ecologica ed energetica.

5. La recente decisione di 2i Rete Gas di revocare il progetto di metanizzazione dell’alta Valtellina per mancanza di manifestazione di interesse da parte di alcuni Comuni può a suo avviso, rappresentare una leva per far in modo che ciò avvenga anche per i 47 comuni trentini, la cui provincia ha previsto un piano di metanizzazione?

Il tema è complesso. La metanizzazione di un territorio rappresenta una scelta che vincola i Comuni per decenni. Vincolare i Comuni ad un combustibile fossile, non rinnovabile e proveniente dall’estero nell’attuale crisi energetica, a noi pare una scelta sbagliata. E credo che dovrebbe essere rivista. Tuttavia, ritengo che la scelta di alcuni di Comuni di metanizzare, sia risultato del timore di non aver altre opzioni da offrire ai propri cittadini e ad un senso di solitudine istituzionale nella politica energetica locale. Servono proposte alternative alla metanizzazione, proposte che diano garanzie di affidabilità e di qualità del servizio basate sulle fonti rinnovabili su cui l’Autonomia del Trentino deve investire con politiche innovative e di lungo periodo.

6. Quest’associazione intende promuovere al suo interno anche la costituzione delle comunità dell’energia rinnovabile?

Siamo appena nati. Abbiamo bisogno di strutturare la nostra organizzazione e attivare il dialogo anche con altre associazioni che si occupano di questi temi per fare fronte comune. Certamente il tema delle Comunità Energetiche è interessante e va approfondito e promosso perché esprime dei riferimenti culturali e valoriali che sono parte integrante del nostro territorio e anche delle aziende e degli Enti che hanno dato vita a Trentino Energia Verde.

Gestione sostenibile delle foreste: grande opportunità per lo sviluppo dell’economie del Mediterraneo

Intervista a Andrea Barzagli,  del dipartimento di comunicazione di Compagnia delle Foreste 

Dal 21 al 25 marzo si è tenuta ad Antalya, in Turchia la “Mediterranean Forest Week”. Si tratta di un evento organizzato da Silva Mediterranea, comitato rappresentante il panorama forestale del Mediterraneo, il cui segretariato è affidato all’Italia e viene gestito dal CREA presso la FAO, su mandato della Direzione Foreste del Mipaaf.

L’iniziativa punta a creare un terreno comune per favorire il confronto sulle problematiche e sulle sfide legate al settore delle foreste nel Mediterraneo. Nello specifico tra gli obiettivi della manifestazione c’è la promozione di proficue collaborazioni tra gli amministratori forestali e i decisori politici, la comunità scientifica, il comparto privato, la società civile, le organizzazioni non governative e gli altri stakeholder.

Questi temi assumono un ruolo centrale per Fiper che – nell’ottica di promuovere su larga scala le opportunità legate alla bioenergia – ritiene fondamentale far comprendere a un pubblico più vasto possibile l’importanza di un approccio olistico e trasversale al tema della gestione sostenibile delle foreste, evidenziando le opportunità legate alla produzione di energia pulita e rinnovabile, frutto di filiere circolari e sostenibili. Gestire in modo sostenibile il patrimonio forestale significa infatti incrementare i prelievi legnosi, garantire un sano accrescimento arboreo.

Per approfondire questi temi abbiamo intervistato Andrea Barzagli, del dipartimento di comunicazione di Compagnia delle Foreste.

1. Quali sono le principali sfide in termini di gestione sostenibile delle foreste nel nostro Paese e a livello Ue

Oltre il 40% della superficie dell’Unione Europea è coperta di foreste, passando dall’area mediterranea a quella boreale, una sfida che le accomuna tutte è quella del cambiamento climatico. Lo stesso vale per il contesto italiano dove la superficie forestale in costante crescita è arrivata ormai ad occupare oltre un terzo del Paese. Il recente report IPCC sul clima ha evidenziato come gli effetti della crisi climatica sul contesto forestale europeo potranno causare perdite della produttività fino al 37% per le zone più a sud, Italia compresa. Lo stesso report, riguardo alle possibili azioni di adattamento, mette al primo posto la gestione forestale sostenibile, soprattutto se portata avanti facendo lavorare assieme i vari attori del settore, dai ricercatori agli amministratori e alle imprese. Come già ampiamente sottolineato all’interno della Strategia Forestale Europea, il ruolo delle foreste in questa sfida è tutt’altro che passivo: attraverso una corretta gestione possono essere protagoniste della bioeconomia e della transizione ecologica. Per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera è possibile utilizzare sostenibilmente il legno e il modo migliore di farlo è con un approccio a cascata: il materiale idoneo da destinare alla fabbricazione di manufatti duraturi, che conserveranno al loro interno CO2 immagazzinato dalle piante, la restante parte per la produzione di energia. La gestione forestale sostenibile è la chiave per garantire l’equilibrio il sistema che garantisce la perpetuazione nel tempo di questa importante risorsa.

2. Qual è l’importanza di declinare il tema della gestione sostenibile delle foreste in termini di promozione dei paradigmi dell’economia circolare?

La maggior parte del legname usato in Italia proviene dall’estero, dato paradossale in un paese che possiede una superficie forestale estesa e in costante crescita. La mancata valorizzazione delle risorse locali innesca un circolo vizioso con conseguenze su temi come il presidio delle aree interne, il dissesto idrogeologico e la deforestazione importata. Produrre legno dai nostri boschi potrebbe fornire materia prima a filiere corte e locali che generano lavoro ed economia in territori rurali, molto spesso marginali e a rischio di spopolamento. Lavorare per la produzione di legname dai boschi locali fornisce al tempo stesso non solo assortimenti legnosi, ma anche tanti altri servizi utili alla società: continuità della funzione di protezione diretta delle infrastrutture da frane o valanghe, diminuzione del rischio incendi, conservazione delle fonti di acqua potabile, manutenzione di strade e sentieri e anche produzione di energia… Tuttavia, in Italia solo una piccola parte del patrimonio forestale è pianificato: conosciamo poco i nostri boschi e molto spesso non facciamo una Selvicoltura con la S maiuscola. Per fortuna da pochi mesi disponiamo di una Strategia Forestale Nazionale. La giusta base da cui partire.

3. Quali sono le potenzialità del settore forestale italiano dal punto di vista dell’offerta di fonti di energia?

Nel contesto attuale, in cui è ormai evidente la necessità di sostituire le fonti fossili, anche se spesso non con l’urgenza necessaria, il settore forestale può svolgere un ruolo chiave. Con lo sviluppo di filiere legno-energia locali i paesi e i territori vicini possono affrancarsi dalle fonti fossili, rinnovando la connessione con il patrimonio boschivo che li circonda. Queste risorse naturali, se valorizzate, possono rappresentare un’alternativa sostenibile dal punto di vista sia ambientale che economico. 

Tanti boschi oggi, anche a seguito di un pluridecennale abbandono colturale, non sono idonei a produrre legname da opera e di conseguenza, anche per rendere quegli stessi boschi più idonei a produzioni di pregio future, si dovranno effettuare interventi selvicolturali di diradamento dai quali uscirà materiale valorizzabile solo dal punto di vista energetico. Quindi una filiera legno-energia locale e sostenibile per alcune aree è una vera e propria opportunità, l’unica al momento per valorizzare il legname di alcuni boschi e creare condizioni di maggior pregio per il futuro. 

Ma un discorso simile vale anche per contesti più urbani, nonostante il tema dell’inquinamento, ovvero le polveri fini emesse da stufe e caldaie alimentate a biomasse legnose, sia un punto critico su cui molto si dibatte. Grazie alle moderne tecnologie, a una corretta manutenzione e all’attenzione verso la qualità dei biocombustibili, questo problema può essere superato.

4. Qual è l’importanza di comunicare in modo efficace su larga scala le opportunità offerte dalla gestione sostenibile delle foreste e dalla produzione di energia da scarti legnosi? Cosa si potrebbe fare per veicolare meglio questo messaggio?

Il tema della gestione delle foreste è ad oggi in Italia un argomento di discussione molto sentito e di conseguenza a rischio di semplificazioni e polarizzazione. Il rischio è che nella narrazione distorta legata alla transizione energetica le foreste vengano descritte anch’esse in modo semplificato, almeno a livello generalista, relegandole a spettatrici passive di questo processo. Le opportunità date dalla gestione forestale sostenibile devono essere comunicate attentamente, cercando di abbracciare la complessità del tema. Questo è ancora più vero se parliamo di filiera legno-energia dove il progressivo allontanarsi delle persone dalla cultura rurale ha reso un’azione storicamente accettata, quella di trasformare il legno in energia per cucinare e scaldarsi, problematica agli occhi di una buona parte della popolazione. Non ci sono  grandi segreti da rivelare o ragionamenti complicati da spiegare.

Molti degli elementi fondamentali per riabilitare l’uso del legno per la produzione di energia sono facilmente comprensibili anche dalle persone esterne al settore, devono solo essere divulgati nel modo giusto. È necessario rompere il paradigma per il quale il tema legno-energia viene ormai visto come un argomento “scomodo”, che rischia di mettere in cattiva luce verso il grande pubblico chi decide di parlarne.

Vista l’importanza che ricopre, questo tema dovrebbe trovare nei media lo stesso spazio che viene dedicato ad esempio alla salvaguardia della natura e della biodiversità, comunicando come la gestione sostenibile abbracci tutto ciò che riguarda il rapporto tra la nostra specie e gli ecosistemi forestali.

Bioenergia in EU: quale impatto socioeconomico e prospettive di sviluppo?

In questi giorni è stato pubblicato il report di Deloitte: “Towards an Integrated Energy System: Assessing Bioenergy’s Socio-Economic and Environmental Impact” promosso da Bioenergy Europe.

Scopriamo i risultati del rapporto con la dott.ssa Irene di Padua, Policy Advisor di Bioenergy EU. 

L’analisi stima l’impatto della bioenergia sull’economia in termini di PIL e creazione di posti di lavoro, prestando particolare attenzione all’ambiente, le emissioni di carbonio, il contributo alla salvaguardia delle foreste, la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e lo sviluppo di un’economia circolare.

1. Il rapporto Deloitte fornisce uno scenario estremamente interessante dell’impatto generale dal settore “bioenergie” in termini di PIL europeo. Può illustrarci brevemente i principali indicatori rappresentati?

L’impatto economico del settore delle bioenergie in termini di PIL nel 2019 è stato di 34.116 milioni di euro, pari allo 0,25% del PIL dell’UE27: l’impatto diretto ha raggiunto 24.406 milioni di euro, mentre l’impatto indiretto ha rappresentato 9.710 milioni di euro.

Ogni milione di tonnellate equivalente (MTEP) in più di biomassa impiegata per la produzione di energia, genererebbe un impatto di 261 milioni di euro in termini di PIL e una creazione di 5.181 posti di lavoro (Full-Time), producendo un risparmio di 2,4 MtCO2eq di emissioni date dalla sostituzione dei combustibili fossili.

Attualmente milioni di cittadini europei utilizzano la bioenergia come fonte di riscaldamento tramite, per esempio, sistemi di teleriscaldamento. Inoltre, diversi complessi industriali, già si avvalgono di energia proveniente dai residui di lavorazione e gestione delle biomasse legnose per produrre calore rinnovabile utilizzabile dallo stabilimento e dagli edifici circostanti.  In futuro, il numero di cittadini e industrie che impiegano le bioenergie è destinato ad aumentare e questo sarà fondamentale per raggiungere gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni per il 2030 e il 2050.

2. Oltre agli indicatori citati, quali sono le specificità delle bioenergie in termini microeconomici?

La bioenergia è una soluzione molto versatile e flessibile; sostiene le economie locali generando nuovi posti di lavoro e nuovi mercati legati alla filiera di approvvigionamento agricola e forestale.

Puntare sul comparto “bioenergia” rafforza le aree rurali, genera reddito e previene l’esodo della popolazione soprattutto giovanile verso i centri urbani. Avere una catena del valore lunga e differenziata sul territorio, come quella delle bioenergie, crea ulteriori possibilità di fornire posti di lavoro. Inoltre, il settore rappresenta un’importante “voce” nelle entrate di bilancio per i comuni. In Europa, il 40% della superficie forestale è di proprietà di comuni, governi regionali o nazionali, questo significa che la vendita dei residui e delle risorse della gestione forestale favorisce direttamente i bilanci statali oltre ad avere un concreto valore aggiunto per i cittadini.

3. In termini di sicurezza dell’approvvigionamento per il mercato europeo dell’energia, investire sulle bioenergie, potrebbe rappresentare una leva per diversificare il rischio della dipendenza estera dal gas, prevenendo la crisi che stiamo attualmente vivendo del “caro energia?”

La sostituzione dei combustibili fossili importati con energie rinnovabili nazionali migliora la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e riduce il rischio di problemi di rifornimento derivanti dal contesto sociopolitico all’estero. Al momento, l’Europa importa solo il 3,4% della biomassa usata per produrre energia, mentre la dipendenza dal gas supera l’80%. A fronte della crisi energetica attuale, l’indice di vulnerabilità di paesi come l’Italia è particolarmente preoccupante.

Inoltre, l’uso della bioenergia porta benefici alla stabilità dei prezzi, fondamentali per la sicurezza energetica.

Il costo della biomassa per l’energia risulta essere sia più stabile nel tempo se paragonato a quello dei combustibili fossili.

Inoltre, un aumento dei prezzi del gas naturale si traduce in un aumento dei prezzi dell’elettricità che, insieme alla difficoltà di prevedere i prezzi, mette i cittadini e l’industria a rischio di far fronte a costi energetici fluttuanti che possono aumentare la povertà energetica e diminuire la competitività dell’industria europea. Ad esempio, confrontando il prezzo domestico della biomassa con altri beni energetici, si osserva che il prezzo del pellet (il tipo di biomassa più costoso), rimane abbastanza stabile ed è fino a quattro volte più economico del gas naturale e del riscaldamento elettrico in tutti i paesi.

4. Quali sono le prospettive di sviluppo per il settore anche alla luce della messa in atto del pacchetto FIT for 55%?

Il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2030 e il 2050 richiede un ulteriore sviluppo del comparto “bioenergia”, considerando gli scenari riportati dalla Valutazione d’Impatto della Commissione Europea. Il consumo interno lordo medio di biomassa a livello europeo dovrebbe attestarsi intorno ai 220 Mtep nel 2050, mostrando un aumento annuo di circa il 2% tra il 2019 e il 2050. Questo aumento è in realtà inferiore a quello mostrato dalla bioenergia negli ultimi 10 anni, visto che il trend si è attestato intorno a una crescita annua del 2,6%, dimostrando così che l’incremento futuro potrebbe corrispondere ad uno scenario costante nel tempo.

Al momento, l’import di combustibili fossili in EU è superiore a 236 milioni di euro per Mtep.

In questo contesto, l’utilizzo di una risorsa rinnovabile disponibile sul territorio, come la biomassa, consentirebbe la creazione di occupazione e crescita economica oltre che la riduzione della bolletta energetica con i paesi terzi. L’aumento dell’occupazione e del PIL rispetto al 2019 raggiungerebbe rispettivamente il 54% e il 64%. Questa crescita sarà guidata non solo dall’uso della bioenergia per la produzione di elettricità, ma anche dalla produzione di biocarburanti per i trasporti e dall’aumento delle biomasse utilizzate per il calore nel settore industriale.

Inoltre, poiché lo sviluppo della tecnologia della biomassa si evolverà attraverso l’uso di apparecchiature moderne che utilizzano meno combustibile per la stessa produzione di calore, essendo così più efficienti, ci sarà un mercato legato alla sostituzione delle vecchie installazioni esistenti con dispositivi moderni a emissioni quasi zero.

Concludendo quindi, possiamo affermare che la bioenergia rappresenta un’importante fonte di energia alternativa all’impiego dei combustibili fossili e una sicurezza per il sistema energetico, vista la sua capacità di bilanciare l’intermittenza di altre fonti rinnovabili come l’eolico e il solare. Sarà una risorsa cruciale nella transizione energetica per la crescita economica e la creazione di posti di lavoro, riducendo al contempo le emissioni di gas serra, in particolare nei settori in cui l’elettrificazione è difficile e costosa (navigazione, aviazione, processi a media e alta temperatura e altre applicazioni industriali).

Scarica il report Deloitte