L’importanza di “coltivare” il bosco

Intervista con Maria Rita Gallozzi, certificatrice di gestione forestale e vice presidente di FSC Italia.

Oggi più che mai i boschi possono essere una grande risorsa per i cittadini dei comuni montani italiani, una risorsa che può permettere loro di produrre energia con costi contenuti, in modo sostenibile per l’ambiente e attivando una filiera a chilometro zero. Ma non solo: tutto ciò farebbe bene ai boschi che verrebbero mantenuti, curati, coltivati, mentre oggi spesso sono abbandonati, si ammalano, invecchiano. Ne abbiamo parlato con Maria Rita Gallozzi, certificatrice di gestione forestale e vice presidente di FSC Italia.

1. Dal suo osservatorio specialistico di esperta forestale, qual è lo stato dell’arte del patrimonio forestale italiano?
Per rispondere, uso le parole della dott.ssa Alessandra Stefani, collega che oggi dirige la Direzione Nazionale Foreste al MIPAAF: “L’Italia è un paese forestale e la nostra prima sfida è farlo capire agli italiani, che nella maggior parte dei casi, non sanno di vivere su un territorio attualmente ricoperto per un terzo di boschi”.
Per cui, tenendo conto che in Italia la superficie boschiva, dal 2005 al 2020, è aumentata di circa 590.000 ettari, come riportato dall’ultimo INFC (Inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi forestali di carbonio) e che negli anni Venti nel nostro Paese potevamo contare su un patrimonio di circa 4 milioni di ettari di boschi, mentre attualmente siamo passati a 11 milioni di ettari, direi che il nostro patrimonio forestale gode di buona salute.
Unico rilievo che occorre evidenziare è che in molti casi mi capita di girare in boschi “abbandonati”, non gestiti, perché magari il proprietario o il gestore è irrintracciabile o semplicemente sceglie di non fare nessun intervento forestale: in questi casi, mi capita di osservare il degrado dell’area forestale che sto percorrendo. L’abbandono del bosco, purtroppo, è frequente nel nostro paese ed è causa diretta di dissesto idrogeologico e incendi.

2. C’è chi dice che il bosco vada lasciato crescere senza intervento umano. Secondo le pratiche forestali, qual è l’atteggiamento o il comportamento che bisognerebbe tenere in caso di alberi malati?
I monaci camaldolensi, autori del Codice Forestale Camaldolense e custodi gelosi del patrimonio boschivo dell’Appennino Tosco Emiliano, ne codificarono lungo i secoli la gestione in una serie di norme, che costituiscono il cosiddetto “Codice forestale camaldolese”, nel quale si legge “il bosco va coltivato senza scemarne la bellezza”. Custodire e coltivare: questa è la base di una gestione sostenibile dei boschi. Si può, in sostanza, tagliare gli alberi, valorizzando il “prodotto legno” (e non solo), senza danneggiare in alcun modo l’ambiente.
Una foresta sana rallenta l’erosione del suolo, gli smottamenti del terreno e le inondazioni. Supporta una varietà di biodiversità, cattura CO2, genera ossigeno e filtra l’acqua. Naturalmente, la foresta produce legno, una risorsa rinnovabile che sta diventando il materiale del futuro offrendo un’alternativa sostenibile ai combustibili fossili.
Infine, una foresta “gestita” è una foresta accessibile e accogliente per le numerose attività ricreative che possono offrire ai visitatori amanti della natura, come l’escursionismo, la mountain bike, e il sempre più attuale “forest bathing” comunemente definito come “benessere forestale”.
In caso di “alberi malati” occorre valutare di volta in volta la situazione: singoli alberi “morti in piedi” (come si usa dire in termini forestali) sono spesso lasciati in bosco in quanto rifugi e tane per animali e uccelli; stesso discorso vale per quelli che sono a terra: saranno utili ai microrganismi decompositori e di conseguenza al suolo, che si arricchirà di sostanza organica.
Il discorso è diverso in caso di attacchi violenti di patogeni su interi popolamenti forestali: in questo caso occorrono azioni specifiche per limitare l’infestazione, azioni che possono includere anche dei tagli non previsti del soprassuolo arboreo. In questi casi, molto spesso, il legname infestato viene comunque utilizzato come biomassa.

3. Cosa significa ed è possibile fare una gestione sostenibile del bosco? Quali sono i vantaggi, di “coltivare” il bosco?
Rinnovare le foreste, produrre legno per diversi usi, preservare la biodiversità, accogliere il pubblico, prevenire i rischi di incendio, migliorare la resistenza delle foreste al riscaldamento globale: questi sono gli obiettivi della gestione forestale (o selvicoltura). La gestione forestale sostenibile consente proprio questo: preservare la foresta nel suo complesso, le sue funzioni e la sua biodiversità.
C’è una gestione sostenibile quando la “manutenzione” del bosco mantiene la foresta in crescita e garantisce un sano equilibrio tra funzioni economiche, ecologiche e sociali e questo si verifica quando la crescita degli alberi rimane più importante della loro mortalità e del prelievo legnoso.
Non va dimenticato però che la raccolta del legname fa parte del ciclo di vita delle nostre foreste: tagliare un albero non è un “crimine ambientale”.
Se il taglio è fatto applicando le regole selvicolturali e se è definito da un Piano di Gestione Forestale, non ci sono problemi nel tagliare un bosco e, in più, se ad occuparsi della gestione sono operatori specializzati, si ha la garanzia che saranno rispettate le regole della selvicoltura naturalistica, implementando interventi specifici ed effettuando prelievi di materiale legnoso che non vanno mai oltre il livello di “ricrescita” (ripresa) annuale del bosco: cioè non si taglia mai più del legno che il bosco produce in 1 anno!
I tagli di “diradamento”, “miglioramento” o “rigenerazione” permettono agli alberi di beneficiare di luce e risorse sufficienti per rinnovarsi e crescere, l’importante è avere sempre in mente che un bosco non è solo uno stock di legno da sfruttare.

4. Che tipi di sistemi di tracciabilità ci sono per garantire che il bosco sia trattato secondo i criteri di sostenibilità definiti dall’Unione europea?
In tutti i settori di attività, i governi, la società civile e, in ultima analisi, i consumatori chiedono una maggiore trasparenza sull’”origine dei prodotti” per garantire che soddisfino determinati criteri di qualità. Il settore forestale non fa eccezione a questo problema, e anche in questo caso, è necessario che la materia prima lavorata, vale a dire il legno, provenga da fonti che rispettino il quadro giuridico locale e l’ambiente forestale. Per soddisfare questi requisiti, diverse aziende forestali hanno implementato una “catena di custodia” per i loro prodotti.
Qui entra in gioco il concetto di “tracciabilità”, che è un processo che permette di identificare l’origine e di rintracciare un prodotto attraverso le varie fasi della filiera. In ambito forestale, ciò significa essere in grado di tracciare un prodotto dalla fase di prelievo della materia prima dal bosco alla sua lavorazione, fino alla commercializzazione del prodotto finito.
Quindi, un sistema di tracciabilità è usato per verificare che la materia prima per i prodotti in legno derivi da fonti legali, responsabili o comunque accettabili.

Per soddisfare il desiderio dei consumatori di acquistare legno “pulito”, sono stati creati diversi schemi di certificazione delle foreste e dei prodotti in legno: si assicura ai consumatori che stanno acquistando legno proveniente da foreste gestite in modo sostenibile e con metodi di prelievo della materia prima rispettosi dell’ambiente. Gli schemi di certificazione più sviluppati sono l’FSC (Forest Stewardship Council) e il PEFC (Programme for the Endorsement of Forest Certification Schemes).
La certificazione forestale attesta la gestione sostenibile della foresta e il rispetto delle sue funzioni ambientali, sociali, paesaggistiche ed economiche.

Insomma, dopo questa escursione nel settore forestale italiano, quello che è importante far emergere è che un bosco ben utilizzato e gestito è un bosco sano, che racconta la storia del territorio in cui è inserito e della sua interazione con l’uomo; è un bosco che fornisce in modo ottimale la risorsa legno di cui oggi abbiamo sempre più bisogno e, soprattutto, è la dimostrazione che il taglio di un albero non comporta la distruzione del bosco stesso, ma anzi ne favorisce la rinnovazione e la conservazione.

La ricetta per far fronte alla difficoltà del mercato dell’energia in Italia? Le biomasse ingrediente importante!

Intervista con il dott. Stefano Cavriani, Founder & Director – EGO Group.

Si è appena concluso il G7. Uno dei temi “scottanti” dell’agenda è la necessità di esplorare con i partner internazionali diversi modi per frenare l’aumento dei prezzi dell’energia, inclusa la fattibilità dell’introduzione di price cap temporanei alle importazioni di gas e di petrolio ove appropriato.

In questo scenario in continuo divenire, in cui l’Unione Europea spinge a livello mondiale per accelerare il processo di transizione ecologica, ci si interroga sulle prospettive del mercato energetico nazionale.

Approfondiamo il tema con il dott. Stefano Cavriani, Founder & Director – EGO Group.

1) Dal suo osservatorio, qual è lo stato di salute del mercato dell’energia italiano nell’affrontare la crisi ucraina e la messa in atto del green deal?

L’Italia ha scelto 35 anni fa di puntare sul metano come propria fonte energetica principale e preponderante (famoso fu infatti lo slogan “il metano ti dà una mano”). Attualmente il metano copre circa il 45% del fabbisogno di energia, percentuale quasi doppia rispetto alla Germania (26%). In pratica l’Italia è di gran lunga il Paese occidentale più dipendente dal gas.

Negli anni, i modesti giacimenti italiani si sono esauriti e da ormai 10-15 anni l’import dall’estero copre il 90% del ns. fabbisogno. In particolare, la Russia fino al 2021 è stato il principale fornitore con circa 30 miliardi mc/anno (rispetto al consumo totale pari a circa 70 miliardi mc/anno). L’altro grande fornitore è l’Algeria (20 miliardi mc/anno).
La stragrande maggioranza del gas da noi consumato arriva via tubo, quindi abbiamo una capacità di rigassificazione abbastanza scarsa (3 rigassificatori: Panigaglia, Livorno e Porto Viro per totali 15 miliardi mc/anno nominali). I rigassificatori sono necessari per ricevere il gas LNG via nave (forniture alternative ai flussi via tubo).

È evidente che in un simile scenario la diversificazione delle fonti energetiche è essenziale, a maggior ragione adesso che il gas dalla Russia non è più garantito e che i prezzi della materia prima sono esplosi (fatto dipendente dalla guerra in corso ma anche da trend più profondi già in atto a prescindere da quest’ultima).
Purtroppo, la spinta sulle fonti rinnovabili si è arenata e negli ultimi 8-10 anni la realizzazione di nuovi impianti è molto rallentata, non solo per il quasi totale azzeramento di incentivi ma anche e soprattutto per l’ostracismo da parte degli enti incaricati di rilasciare le autorizzazioni.

Adesso finalmente l’approccio politico, anche da parte del Governo centrale, pare cambiato e il ritmo di rilascio delle autorizzazioni è fortemente accelerato (almeno 2 GW tra 2021 e inizio 2022), ma la realizzazione effettiva degli impianti è difficoltosa a causa della carenza di materiali (per i noti restringimenti sulle catene di approvvigionamento post-pandemia) e dell’impennata dei costi di investimento: quindi l’aumento delle autorizzazioni non corrisponde necessariamente a un aumento della capacità installata.
In estrema sintesi, l’Italia adesso ha finalmente deciso di affrancarsi dal gas, ma non ha le infrastrutture necessarie e impiegherà anni per colmare le proprie lacune.

Queste difficoltà si traducono in prezzi dell’energia ai massimi livelli in Europa (e nel mondo): dopo quasi 20 anni (2004-2020) a prezzo medio di 60 Euro/MWh (+25% rispetto a Germania e Francia), il prezzo dell’energia è esploso (non solo in Italia): nel 2021 si sono superati i 125 Euro/MWh e nella prima metà del 2022 si sono raggiunti i 250 Euro/MWh. In questo momento il prezzo spot supera i 350 Euro/MWh a causa di alcune contingenze specifiche (la siccità al Nord riduce moltissimo la produzione dagli impianti idroelettrici e dai termoelettrico posizionati lungo il Po).
Le previsioni di prezzo rimangono elevatissime anche per i prossimi 2-3 anni (prezzo medio atteso 150-200 Euro/MWh). Dopo il 2025 non ci sono quotazioni, lo scenario è quanto mai incerto ed è impossibile fare previsioni.

Queste semplici considerazioni ci portano purtroppo a concludere che l’energia in Italia è molto cara e priva dei necessari requisiti di sicurezza e affidabilità, oltreché, come noto, non sufficientemente decarbonizzata. In estrema sintesi possiamo dire che lo stato di salute è tutt’altro che buono.

2) Nel PNRR il Governo ha dato grande enfasi allo sviluppo di fotovoltaico, eolico e biometano. Le altre fonti rinnovabili, tra cui le biomasse, sembrano non interessare. Qual è la sua analisi rispetto a questa grave “dimenticanza”? Crede ci possano essere margini correttivi?

Attualmente quando si parla di fonti rinnovabili ci si riferisce essenzialmente a fotovoltaico ed eolico. Certamente il fotovoltaico è la fonte più versatile e prontamente disponibile, ma chiaramente necessita di essere abbinato a sistemi di accumulo per essere esercito in modo regolare e programmabile.
Anche l’eolico è interessante, ma la ventosità italiana è irregolare e non sempre particolarmente forte. Anch’esso, ovviamente, necessita di sistemi di accumulo per ottenere un minimo di flessibilità e regolarità.

Ma stante lo scenario problematico come quello descritto sopra è evidente che dobbiamo sfruttare tutte le risorse disponibili, prima possibile e più possibile. L’Italia è un Paese ricco di boschi e di risorse legnose, è dunque assurdo non puntare fortemente anche sulle biomasse. Tra l’altro queste fonti sono programmabili e gestibili, quindi costituiscono un perfetto complemento rispetto al fotovoltaico e alle altre fonti non programmabili.
Puntare anche sulle biomasse significa ovviamente investire in nuovi impianti ma allo stesso tempo salvaguardare gli impianti esistenti, che in Italia sono numerosi, distribuiti sul territorio e un patrimonio di infrastrutture prezioso.

Certamente la logica degli impianti a biomasse “solo-elettrici” è ormai superata. Produrre energia elettrica con un rendimento inferiore al 20%, adesso che la materia prima è molto costosa, ha poco senso. Viceversa, l’abbinamento di energia elettrica ed energia termica (impianti termoelettrici cogenerativi a biomasse) rappresenta la forma più efficiente (e quindi intelligente) di utilizzo delle risorse.
Per quanto concerne il biometano, molti impianti a biogas (in Italia ce ne sono circa 1.300) potrebbero essere convertiti, ma al momento il settore è un po’ fermo in attesa del nuovo decreto MITE. Anche il biometano da FORSU è interessante, ma la materia prima utilizzabile non è abbondante. Sicuramente il biometano può essere una risorsa importante, ma è prima di tutto necessario aggiornare e rendere certo il quadro normativo.

Come “green-gas” (gas di origine rinnovabile) personalmente ritengo molto più interessante il biometano rispetto all’idrogeno (per la cui produzione servono elettrolizzatori alimentati da energia elettrica ed enormi quantità di acqua). L’idrogeno potrà svolgere un ruolo interessante in chiave di flessibilità della rete elettrica (accumulo di lungo termine di energia elettrica prodotta in eccesso in certe ore o in certe stagioni), ma ritengo poco sensato immaginare di bruciare l’idrogeno per produrre energia termica (caldaie residenziali o simili) – sempre che sia possibile portarlo nelle case o presso le utenze mediante le normali tubazioni esistenti. Per produrre il calore è molto meglio utilizzare fonti locali come le biomasse, laddove disponibili, veicolandolo “semplicemente” mediante acqua calda.

3) Elettrificazione dei consumi, smart grid, comunità dell’energia rinnovabile: si assiste ad una forte accelerazione nel sostituire il vettore termico con elettrico. Fino a che punto il Sistema Paese è in grado di soddisfare a prezzi competitivi la domanda crescente di energia elettrica? Che ruolo può giocare a suo avviso il comparto termico rinnovabile nella transizione ecologica?

Per i motivi detti sopra l’energia elettrica in Italia è destinata a rimanere costosa per molto tempo. Inoltre, l’incremento dei consumi elettrici porrà notevole pressione sul sistema energetico italiano. Già oggi, molto banalmente, l’impennata dei consumi da condizionamento estivo provoca black-out diffusi e incontrollabili in una metropoli come Milano.

Immaginiamoci cosa potrebbe succedere in caso di incremento significativo e troppo veloce dei consumi elettrici (riscaldamento in primis) qualora le reti non fossero adeguatamente potenziate, sia in termini di potenza di picco gestibile, sia in termini di capacità di gestione “intelligente”. Questo non significa che non dobbiamo puntare sull’elettrificazione, ma tutto va fatto in maniera razionale ed equilibrata. Ciò significa utilizzare in modo intelligente le risorse.

Laddove è possibile disporre di energia termica a costo competitivo e da fonte rinnovabile è evidente che è opportuno (anzi mandatorio) sfruttare pienamente tale risorsa.

Gli impianti termoelettrici cogenerativi a biomasse distribuiti, inseriti in modo armonioso e integrato nel territorio, sono e saranno sempre una risorsa energetica fondamentale. Rinunciarvi sarebbe l’ennesimo errore commesso nella politica energetica italiana, che tende sempre a inseguire una salvifica soluzione “unica”, che non esiste.

Trentino Energia Verde: imprese unite per una provincia 100% rinnovabile!

Intervista il neoeletto presidente dr. Andrea Ventura, AD di Bioenergia Fiemme.

Da sempre nell’immaginario collettivo, Trentino è sinonimo di foreste di abeti rossi, Dolomiti e turismo attento alla tutela dell’ambiente.

In questo contesto culturale 11 i soci fondatori, che hanno promosso l’avvio dell’Associazione Trentino Energia Verde. ACSM teleriscaldamento SpA di Primiero, Eneco Energia Ecologica srl di Predazzo, Bio Energia Fiemme SpA di Cavalese, EuroBio Energy srl di Tesero, ‘Bioenergy Anaunia SpA di Fondo, Fellin Energia di Revò, Tonale Energia srl di Vermiglio, Enerprom srl di Pejo, MEM srl di Dimaro oltre ai Comuni di Altavalle in val di Cembra e Pellizzano in val di Sole: una compagine formata da multiutility, comuni, operatori di teleriscaldamento a biomassa.

Approfondiamo il tema con il neoeletto presidente dr. Andrea Ventura, AD di Bioenergia Fiemme.

1. Quali sono gli elementi che vi hanno spinto a costituire l’associazione proprio in Trentino, territorio da sempre vocato all’impiego delle fonti rinnovabili e in particolare alla filiera legno?

Il confronto e la volontà di fare rete tra operatori del Trentino della filiera bosco legno energia era sul tavolo da qualche tempo. Abbiamo deciso di avviare un percorso di condivisione delle varie esperienze di produzione rinnovabile partendo proprio dalle biomasse che rappresentano un fattore di sviluppo strategico per il nostro territorio.

2. A che modello di sviluppo territoriale l’Associazione si ispira per promuovere fattivamente una reale economia circolare?

Il Trentino ha sempre rappresentato un modello di sviluppo dei territori di montagna. L’Associazione si pone l’obiettivo di stimolare questo sviluppo anche nel settore energetico che è oggi un tema centrale per imprese e famiglie.

3. Che margini di sviluppo potrebbe rivestire l’economia del legno a partire dal suo osservatorio per il Sistema produttivo ed energetico italiano?

In Trentino il comparto legno è storicamente un pezzo importante della nostra economia. L’uso del legno e la sua valorizzazione sono parte del DNA di questa terra che deve continuare a favorire processi di innovazione industriale, lavorando anche sullo sfruttamento degli scarti a i fini energetici. Su questo vogliamo essere partner delle Istituzioni locali per stimolare politiche che riescano a mettere al centro i territori garantendo occupazione e crescita anche nelle valli alpine e nei territori più periferici per contribuire al sostegno della montagna.

4. Quali sono i principali limiti e vincoli attuali per la messa in atto di una reale economia circolare che si basa su un sistema di produzione e consumo di energia rinnovabile a km zero?

Manca una visione globale. Una visione di sistema. Se il km zero e l’economia circolare sono davvero così importanti, la politica deve essere coerente. E deve stimolare investimenti che partono dai territori favorendo iniziative che poggiano su questi capisaldi. La generazione di energia rinnovabile distribuita e decentrata, ad esempio, non solo è più sostenibile ma anche più attenta alle popolazioni locali. Vanno rimossi vincoli burocratici e ideologici che in questa nuova fase storica rischiano di bloccare un’autentica transizione ecologica ed energetica.

5. La recente decisione di 2i Rete Gas di revocare il progetto di metanizzazione dell’alta Valtellina per mancanza di manifestazione di interesse da parte di alcuni Comuni può a suo avviso, rappresentare una leva per far in modo che ciò avvenga anche per i 47 comuni trentini, la cui provincia ha previsto un piano di metanizzazione?

Il tema è complesso. La metanizzazione di un territorio rappresenta una scelta che vincola i Comuni per decenni. Vincolare i Comuni ad un combustibile fossile, non rinnovabile e proveniente dall’estero nell’attuale crisi energetica, a noi pare una scelta sbagliata. E credo che dovrebbe essere rivista. Tuttavia, ritengo che la scelta di alcuni di Comuni di metanizzare, sia risultato del timore di non aver altre opzioni da offrire ai propri cittadini e ad un senso di solitudine istituzionale nella politica energetica locale. Servono proposte alternative alla metanizzazione, proposte che diano garanzie di affidabilità e di qualità del servizio basate sulle fonti rinnovabili su cui l’Autonomia del Trentino deve investire con politiche innovative e di lungo periodo.

6. Quest’associazione intende promuovere al suo interno anche la costituzione delle comunità dell’energia rinnovabile?

Siamo appena nati. Abbiamo bisogno di strutturare la nostra organizzazione e attivare il dialogo anche con altre associazioni che si occupano di questi temi per fare fronte comune. Certamente il tema delle Comunità Energetiche è interessante e va approfondito e promosso perché esprime dei riferimenti culturali e valoriali che sono parte integrante del nostro territorio e anche delle aziende e degli Enti che hanno dato vita a Trentino Energia Verde.

Gestione sostenibile delle foreste: grande opportunità per lo sviluppo dell’economie del Mediterraneo

Intervista a Andrea Barzagli,  del dipartimento di comunicazione di Compagnia delle Foreste 

Dal 21 al 25 marzo si è tenuta ad Antalya, in Turchia la “Mediterranean Forest Week”. Si tratta di un evento organizzato da Silva Mediterranea, comitato rappresentante il panorama forestale del Mediterraneo, il cui segretariato è affidato all’Italia e viene gestito dal CREA presso la FAO, su mandato della Direzione Foreste del Mipaaf.

L’iniziativa punta a creare un terreno comune per favorire il confronto sulle problematiche e sulle sfide legate al settore delle foreste nel Mediterraneo. Nello specifico tra gli obiettivi della manifestazione c’è la promozione di proficue collaborazioni tra gli amministratori forestali e i decisori politici, la comunità scientifica, il comparto privato, la società civile, le organizzazioni non governative e gli altri stakeholder.

Questi temi assumono un ruolo centrale per Fiper che – nell’ottica di promuovere su larga scala le opportunità legate alla bioenergia – ritiene fondamentale far comprendere a un pubblico più vasto possibile l’importanza di un approccio olistico e trasversale al tema della gestione sostenibile delle foreste, evidenziando le opportunità legate alla produzione di energia pulita e rinnovabile, frutto di filiere circolari e sostenibili. Gestire in modo sostenibile il patrimonio forestale significa infatti incrementare i prelievi legnosi, garantire un sano accrescimento arboreo.

Per approfondire questi temi abbiamo intervistato Andrea Barzagli, del dipartimento di comunicazione di Compagnia delle Foreste.

1. Quali sono le principali sfide in termini di gestione sostenibile delle foreste nel nostro Paese e a livello Ue

Oltre il 40% della superficie dell’Unione Europea è coperta di foreste, passando dall’area mediterranea a quella boreale, una sfida che le accomuna tutte è quella del cambiamento climatico. Lo stesso vale per il contesto italiano dove la superficie forestale in costante crescita è arrivata ormai ad occupare oltre un terzo del Paese. Il recente report IPCC sul clima ha evidenziato come gli effetti della crisi climatica sul contesto forestale europeo potranno causare perdite della produttività fino al 37% per le zone più a sud, Italia compresa. Lo stesso report, riguardo alle possibili azioni di adattamento, mette al primo posto la gestione forestale sostenibile, soprattutto se portata avanti facendo lavorare assieme i vari attori del settore, dai ricercatori agli amministratori e alle imprese. Come già ampiamente sottolineato all’interno della Strategia Forestale Europea, il ruolo delle foreste in questa sfida è tutt’altro che passivo: attraverso una corretta gestione possono essere protagoniste della bioeconomia e della transizione ecologica. Per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera è possibile utilizzare sostenibilmente il legno e il modo migliore di farlo è con un approccio a cascata: il materiale idoneo da destinare alla fabbricazione di manufatti duraturi, che conserveranno al loro interno CO2 immagazzinato dalle piante, la restante parte per la produzione di energia. La gestione forestale sostenibile è la chiave per garantire l’equilibrio il sistema che garantisce la perpetuazione nel tempo di questa importante risorsa.

2. Qual è l’importanza di declinare il tema della gestione sostenibile delle foreste in termini di promozione dei paradigmi dell’economia circolare?

La maggior parte del legname usato in Italia proviene dall’estero, dato paradossale in un paese che possiede una superficie forestale estesa e in costante crescita. La mancata valorizzazione delle risorse locali innesca un circolo vizioso con conseguenze su temi come il presidio delle aree interne, il dissesto idrogeologico e la deforestazione importata. Produrre legno dai nostri boschi potrebbe fornire materia prima a filiere corte e locali che generano lavoro ed economia in territori rurali, molto spesso marginali e a rischio di spopolamento. Lavorare per la produzione di legname dai boschi locali fornisce al tempo stesso non solo assortimenti legnosi, ma anche tanti altri servizi utili alla società: continuità della funzione di protezione diretta delle infrastrutture da frane o valanghe, diminuzione del rischio incendi, conservazione delle fonti di acqua potabile, manutenzione di strade e sentieri e anche produzione di energia… Tuttavia, in Italia solo una piccola parte del patrimonio forestale è pianificato: conosciamo poco i nostri boschi e molto spesso non facciamo una Selvicoltura con la S maiuscola. Per fortuna da pochi mesi disponiamo di una Strategia Forestale Nazionale. La giusta base da cui partire.

3. Quali sono le potenzialità del settore forestale italiano dal punto di vista dell’offerta di fonti di energia?

Nel contesto attuale, in cui è ormai evidente la necessità di sostituire le fonti fossili, anche se spesso non con l’urgenza necessaria, il settore forestale può svolgere un ruolo chiave. Con lo sviluppo di filiere legno-energia locali i paesi e i territori vicini possono affrancarsi dalle fonti fossili, rinnovando la connessione con il patrimonio boschivo che li circonda. Queste risorse naturali, se valorizzate, possono rappresentare un’alternativa sostenibile dal punto di vista sia ambientale che economico. 

Tanti boschi oggi, anche a seguito di un pluridecennale abbandono colturale, non sono idonei a produrre legname da opera e di conseguenza, anche per rendere quegli stessi boschi più idonei a produzioni di pregio future, si dovranno effettuare interventi selvicolturali di diradamento dai quali uscirà materiale valorizzabile solo dal punto di vista energetico. Quindi una filiera legno-energia locale e sostenibile per alcune aree è una vera e propria opportunità, l’unica al momento per valorizzare il legname di alcuni boschi e creare condizioni di maggior pregio per il futuro. 

Ma un discorso simile vale anche per contesti più urbani, nonostante il tema dell’inquinamento, ovvero le polveri fini emesse da stufe e caldaie alimentate a biomasse legnose, sia un punto critico su cui molto si dibatte. Grazie alle moderne tecnologie, a una corretta manutenzione e all’attenzione verso la qualità dei biocombustibili, questo problema può essere superato.

4. Qual è l’importanza di comunicare in modo efficace su larga scala le opportunità offerte dalla gestione sostenibile delle foreste e dalla produzione di energia da scarti legnosi? Cosa si potrebbe fare per veicolare meglio questo messaggio?

Il tema della gestione delle foreste è ad oggi in Italia un argomento di discussione molto sentito e di conseguenza a rischio di semplificazioni e polarizzazione. Il rischio è che nella narrazione distorta legata alla transizione energetica le foreste vengano descritte anch’esse in modo semplificato, almeno a livello generalista, relegandole a spettatrici passive di questo processo. Le opportunità date dalla gestione forestale sostenibile devono essere comunicate attentamente, cercando di abbracciare la complessità del tema. Questo è ancora più vero se parliamo di filiera legno-energia dove il progressivo allontanarsi delle persone dalla cultura rurale ha reso un’azione storicamente accettata, quella di trasformare il legno in energia per cucinare e scaldarsi, problematica agli occhi di una buona parte della popolazione. Non ci sono  grandi segreti da rivelare o ragionamenti complicati da spiegare.

Molti degli elementi fondamentali per riabilitare l’uso del legno per la produzione di energia sono facilmente comprensibili anche dalle persone esterne al settore, devono solo essere divulgati nel modo giusto. È necessario rompere il paradigma per il quale il tema legno-energia viene ormai visto come un argomento “scomodo”, che rischia di mettere in cattiva luce verso il grande pubblico chi decide di parlarne.

Vista l’importanza che ricopre, questo tema dovrebbe trovare nei media lo stesso spazio che viene dedicato ad esempio alla salvaguardia della natura e della biodiversità, comunicando come la gestione sostenibile abbracci tutto ciò che riguarda il rapporto tra la nostra specie e gli ecosistemi forestali.

Bioenergia in EU: quale impatto socioeconomico e prospettive di sviluppo?

In questi giorni è stato pubblicato il report di Deloitte: “Towards an Integrated Energy System: Assessing Bioenergy’s Socio-Economic and Environmental Impact” promosso da Bioenergy Europe.

Scopriamo i risultati del rapporto con la dott.ssa Irene di Padua, Policy Advisor di Bioenergy EU. 

L’analisi stima l’impatto della bioenergia sull’economia in termini di PIL e creazione di posti di lavoro, prestando particolare attenzione all’ambiente, le emissioni di carbonio, il contributo alla salvaguardia delle foreste, la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e lo sviluppo di un’economia circolare.

1. Il rapporto Deloitte fornisce uno scenario estremamente interessante dell’impatto generale dal settore “bioenergie” in termini di PIL europeo. Può illustrarci brevemente i principali indicatori rappresentati?

L’impatto economico del settore delle bioenergie in termini di PIL nel 2019 è stato di 34.116 milioni di euro, pari allo 0,25% del PIL dell’UE27: l’impatto diretto ha raggiunto 24.406 milioni di euro, mentre l’impatto indiretto ha rappresentato 9.710 milioni di euro.

Ogni milione di tonnellate equivalente (MTEP) in più di biomassa impiegata per la produzione di energia, genererebbe un impatto di 261 milioni di euro in termini di PIL e una creazione di 5.181 posti di lavoro (Full-Time), producendo un risparmio di 2,4 MtCO2eq di emissioni date dalla sostituzione dei combustibili fossili.

Attualmente milioni di cittadini europei utilizzano la bioenergia come fonte di riscaldamento tramite, per esempio, sistemi di teleriscaldamento. Inoltre, diversi complessi industriali, già si avvalgono di energia proveniente dai residui di lavorazione e gestione delle biomasse legnose per produrre calore rinnovabile utilizzabile dallo stabilimento e dagli edifici circostanti.  In futuro, il numero di cittadini e industrie che impiegano le bioenergie è destinato ad aumentare e questo sarà fondamentale per raggiungere gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni per il 2030 e il 2050.

2. Oltre agli indicatori citati, quali sono le specificità delle bioenergie in termini microeconomici?

La bioenergia è una soluzione molto versatile e flessibile; sostiene le economie locali generando nuovi posti di lavoro e nuovi mercati legati alla filiera di approvvigionamento agricola e forestale.

Puntare sul comparto “bioenergia” rafforza le aree rurali, genera reddito e previene l’esodo della popolazione soprattutto giovanile verso i centri urbani. Avere una catena del valore lunga e differenziata sul territorio, come quella delle bioenergie, crea ulteriori possibilità di fornire posti di lavoro. Inoltre, il settore rappresenta un’importante “voce” nelle entrate di bilancio per i comuni. In Europa, il 40% della superficie forestale è di proprietà di comuni, governi regionali o nazionali, questo significa che la vendita dei residui e delle risorse della gestione forestale favorisce direttamente i bilanci statali oltre ad avere un concreto valore aggiunto per i cittadini.

3. In termini di sicurezza dell’approvvigionamento per il mercato europeo dell’energia, investire sulle bioenergie, potrebbe rappresentare una leva per diversificare il rischio della dipendenza estera dal gas, prevenendo la crisi che stiamo attualmente vivendo del “caro energia?”

La sostituzione dei combustibili fossili importati con energie rinnovabili nazionali migliora la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e riduce il rischio di problemi di rifornimento derivanti dal contesto sociopolitico all’estero. Al momento, l’Europa importa solo il 3,4% della biomassa usata per produrre energia, mentre la dipendenza dal gas supera l’80%. A fronte della crisi energetica attuale, l’indice di vulnerabilità di paesi come l’Italia è particolarmente preoccupante.

Inoltre, l’uso della bioenergia porta benefici alla stabilità dei prezzi, fondamentali per la sicurezza energetica.

Il costo della biomassa per l’energia risulta essere sia più stabile nel tempo se paragonato a quello dei combustibili fossili.

Inoltre, un aumento dei prezzi del gas naturale si traduce in un aumento dei prezzi dell’elettricità che, insieme alla difficoltà di prevedere i prezzi, mette i cittadini e l’industria a rischio di far fronte a costi energetici fluttuanti che possono aumentare la povertà energetica e diminuire la competitività dell’industria europea. Ad esempio, confrontando il prezzo domestico della biomassa con altri beni energetici, si osserva che il prezzo del pellet (il tipo di biomassa più costoso), rimane abbastanza stabile ed è fino a quattro volte più economico del gas naturale e del riscaldamento elettrico in tutti i paesi.

4. Quali sono le prospettive di sviluppo per il settore anche alla luce della messa in atto del pacchetto FIT for 55%?

Il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2030 e il 2050 richiede un ulteriore sviluppo del comparto “bioenergia”, considerando gli scenari riportati dalla Valutazione d’Impatto della Commissione Europea. Il consumo interno lordo medio di biomassa a livello europeo dovrebbe attestarsi intorno ai 220 Mtep nel 2050, mostrando un aumento annuo di circa il 2% tra il 2019 e il 2050. Questo aumento è in realtà inferiore a quello mostrato dalla bioenergia negli ultimi 10 anni, visto che il trend si è attestato intorno a una crescita annua del 2,6%, dimostrando così che l’incremento futuro potrebbe corrispondere ad uno scenario costante nel tempo.

Al momento, l’import di combustibili fossili in EU è superiore a 236 milioni di euro per Mtep.

In questo contesto, l’utilizzo di una risorsa rinnovabile disponibile sul territorio, come la biomassa, consentirebbe la creazione di occupazione e crescita economica oltre che la riduzione della bolletta energetica con i paesi terzi. L’aumento dell’occupazione e del PIL rispetto al 2019 raggiungerebbe rispettivamente il 54% e il 64%. Questa crescita sarà guidata non solo dall’uso della bioenergia per la produzione di elettricità, ma anche dalla produzione di biocarburanti per i trasporti e dall’aumento delle biomasse utilizzate per il calore nel settore industriale.

Inoltre, poiché lo sviluppo della tecnologia della biomassa si evolverà attraverso l’uso di apparecchiature moderne che utilizzano meno combustibile per la stessa produzione di calore, essendo così più efficienti, ci sarà un mercato legato alla sostituzione delle vecchie installazioni esistenti con dispositivi moderni a emissioni quasi zero.

Concludendo quindi, possiamo affermare che la bioenergia rappresenta un’importante fonte di energia alternativa all’impiego dei combustibili fossili e una sicurezza per il sistema energetico, vista la sua capacità di bilanciare l’intermittenza di altre fonti rinnovabili come l’eolico e il solare. Sarà una risorsa cruciale nella transizione energetica per la crescita economica e la creazione di posti di lavoro, riducendo al contempo le emissioni di gas serra, in particolare nei settori in cui l’elettrificazione è difficile e costosa (navigazione, aviazione, processi a media e alta temperatura e altre applicazioni industriali).

Scarica il report Deloitte

Terremoto nel mercato dell’energia: appello di FIPER al governo

Righini:” Il rischio è che i danni del terremoto energetico siano molto costosi, se non si interviene in tempo!”

Energia Elettrica: dal 1/10/2021 + 29,9% – dal 1/01/2022 + 55,0%
Gas: dal 1/10/2021 + 14,4% – dal 1/01/2022 + 41,8%

In concreto questi numeri cosa ci indicano?
Il prezzo (PUN) dell’energia elettrica da dicembre 2020 a gennaio 2022 ha registrato un incremento del 751%, mentre il prezzo del gas del 599% nello stesso periodo con un costo energetico annuo che passa in Italia da 40 a 140 Miliardi di €.
Non è prevedibile in futuro un ritorno ai prezzi degli anni scorsi.
È del tutto evidente che questa situazione risulti, in primis, assai pesante e onerosa per le famiglie, ma anche e soprattutto per le aziende, che iniziano ad avvertire segnali di crisi a causa degli altissimi costi energetici raggiunti funzionali al sistema produttivo.
Già è evidente la crisi dei settori energivori; tra cui: industria della carta, acciaio, cemento, tessile, vetro e gli altri comparti correlati nonostante la forte domanda di prodotti.
Emblematico il caso di aziende vinicole in crisi per l’insufficiente fornitura di bottiglie di vetro.
Questo è il risultato di decenni di una miope politica energetica del nostro Paese focalizzata a sostenere il settore del gas, peraltro importato per oltre 90% dall’estero, invece di investire e premere l’acceleratore sull’impiego di fonti rinnovabili. Quest’ultime oggi risultano più interessanti economicamente, anche se incentivate.
E siccome dipendiamo anche per la produzione elettrica dall’utilizzo del gas “il cane a sei zampe che si brucia la coda” è del tutto evidente che il problema energetico nazionale si identifica nell’utilizzo spregiudicato che si è sempre fatto sinora di questo combustibile fossile. È del tutto assente una politica di “autonomia dal gas” o diversificazione delle fonti, per far fronte alla prima o poi possibile riduzione e/o interruzione delle forniture da parte della Russia o dei paesi Arabi o all’ulteriore incremento insostenibile del suo costo a beneficio esclusivo delle aziende importatrici, seppur fortemente partecipate dallo Stato, che hanno sempre contrastato lo sviluppo delle fonti rinnovabili.

A dimostrazione di ciò, il Governo italiano è arrivato incomprensibilmente in un momento di rilancio dell’economia all’insegna della transizione ecologica, a imporre ad ARERA che: “Le estensioni e i potenziamenti di reti e impianti esistenti nei comuni già metanizzati e le nuove costruzioni di reti di impianti in comuni da metanizzare appartenenti alle zone climatiche F. (zone di montagna n.d.r.) … nonché nei comuni che hanno presentato nei termini previsti la domanda di contributo relativamente al completamento del programma di metanizzazione del Mezzogiorno … si considerano efficienti e già valutati positivamente ai fini dell’analisi dei costi e dei benefici per i consumatori … A tal fine l’autorità di regolazione per energia reti e ambiente ammette a integrale riconoscimento tariffario i relativi investimenti”.*

Ciò significa, che anche gli investimenti in reti di metanizzazione in aree scarsamente popolate, e quindi in perdita, devono essere per legge socializzati.

FIPER in data 2/9/2021 ha presentato una segnalazione per violazione della normativa dell’Unione Europea da parte dello Stato italiano alle: Direzione generale- (DG) Energia, DG Azione per il Clima, DG Ambiente, DG Concorrenza della Commissione Europea a Bruxelles, informando per correttezza i Ministri competenti Cingolani, Giorgetti e Patuanelli, già contattati in precedente riguardo la disparità di trattamento evidenziata tra le diverse fonti energetiche.

Infine, si apprende che ARERA ha aperto nei giorni scorsi la consultazione pubblica inerente alla possibilità di incentivazione dell’ammodernamento delle reti gas già completamente ammortizzate.

PROPOSTE E PROSPETTIVE

FIPER da sempre si è contraddistinta per un approccio costruttivo, pertanto, ritiene opportuno non solo rappresentare le criticità di cui sopra, del resto già in parte espresse da importanti e più autorevoli interventi sulla stampa nazionale, ma anche e soprattutto proporre soluzioni, anche se parziali e limitate al nostro precipuo settore di conoscenza, alternative all’utilizzo del gas importato e al preannunciato ritorno al nucleare, peraltro mai partito in Italia, con tempistiche di sviluppo non compatibili con l’urgenze del momento.
Condividiamo in primis quanto rappresentato al Presidente Draghi e ai Ministri competenti, dal Presidente di Italia Solare, Paolo Rocco Viscontini, nella nota del 30.12.2021.
Richiamiamo inoltre il Manifesto delle Bioenergie, presentato al Governo, sottoscritto in occasione di Ecomondo di Rimini dello scorso anno da FIPER con le Associazioni: ELETTRICITA’ FUTURA, AIEL, ANPEB, ASSITOL, ASSOEBIOS, ASSOGRASSI, CONFAGRICOLTURA, CIB, DISTRETTO PRODUTTIVO LA NUOVA ENERGIA, EBS e ITABIA che alla luce della situazione contingente conferma ancor di più la sua attualità.
Veniamo ora a proposte concrete.

Produzione di energia termica ed elettrica dall’USO della BIOMASSA legnosa
L’Italia come noto dispone di una superficie di circa 10,8 milioni di ettari di boschi corrispondente al 36% dell’intero territorio nazionale (fra il 1990 e il 2010 la superficie boscata aumentate del 20%).
Di questi 10,8 milioni di ettari di bosco circa 8 milioni sono disponibili per il taglio di legname e l’incremento corrente annuo della biomassa legnosa è di circa 4,10 m³ per ettaro.
A fronte di ciò il prelievo medio annuo italiano è attualmente inferiore a 1 m³ per ettaro, tra i più bassi a livello europeo. Risultato: l’Italia è il primo importatore mondiale di legna da ardere.
Il rischio di deforestazione in Italia è del tutto assente; anzi, si evidenza l’impellente necessità di riprendere la cura e la manutenzione del nostro territorio boscato, disporre di residui legnosi per la filiera produttiva ed energetica, con evidenti ricadute positive sia economiche, occupazionali oltre che ambientali.
Fra questi benefici una corretta ed opportuna gestione del territorio e la valorizzazione e utilizzazione di parte di questa ingente quantità di biomassa.
Promuovere una gestione forestale sostenibile, che migliora nel tempo la qualità del legname dei nostri boschi, attraverso l’impiego energetico, quale il teleriscaldamento a biomassa, la cogenerazione, l’avvio di comunità dell’energia rinnovabile.
All’ingente disponibilità di biomassa forestale o derivante dagli scarti delle segherie (circa il 30% del della prima lavorazione diviene scarto) si aggiunga la significativa quantità di biomassa agricola presente sul territorio nazionale proveniente dalle potature (viti, ulivi, frutteti, ecc.) pari a oltre 5,6 milioni di tonnellate anno. Queste biomasse residuali attualmente nella maggior parte dei casi vengono bruciate in campo con ulteriore aggravio della qualità dell’aria.
Altra possibile fonte di approvvigionamento, la biomassa legnosa derivante dalle potature del verde urbano di parchi, viali, giardini e piazze attualmente destinata in gran parte incomprensibilmente al compostaggio.
Chiediamo di attivare questa economia circolare reale, fattibile, a kilometro zero!
Peccato, invece, che nel capitolo Economia circolare il PNRR faccia esclusivo riferimento al comparto rifiuti.
Il PNRR prevede nell’intero settore del teleriscaldamento efficiente (compreso quindi anche le altre fonti rinnovabili diverse dalle biomasse e la cogenerazione ad alto rendimento) un investimento entro il 2026 di €.200 milioni per uno sviluppo di 330 Km. di reti e la realizzazione di impianti o allacciamenti per una potenza di 360 MW termici.
Riteniamo le previsioni del MITE assai modeste; secondo FIPER potrebbero tranquillamente essere moltiplicate per dieci, aggiungendo la realizzazione di impianti cogenerativi.

Si segnala infine che, nell’attuale stagione invernale 2021/22 nella quasi totalità degli impianti di teleriscaldamento alimentati a biomassa, non si è registrato alcun aumento delle tariffe per la fornitura di calore alle utenze, se non nei casi il cui prezzo di riferimento era ancorato al prezzo del gas.

IMPIANTI DI BIOGAS E/O BIOMETANO
Attualmente in Italia sono in esercizio oltre 1600 impianti a biogas agricolo, che producono energia elettrica ritirata dal GSE.
È in corso di definizione il nuovo decreto biometano, che coordinerà i sistemi di incentivazione con i contributi del PNRR per la realizzazione di nuovi impianti di biometano e la riconversione degli impianti a biogas esistenti in impianti a biometano per un importo di €. 1.923 Milioni.
Da una indagine da noi svolta presso i nostri Associati, attualmente produttori di biogas per energia elettrica, risulta che permangono importanti criticità da risolvere per permettere la riconversione in produttori di biometano; in particolare, si evidenzia la distanza delle reti del metano dal punto di produzione del biometano (zone rurali). Da una stima condotta dalla Federazione, solo il 10% degli attuali impianti a biogas potrà diventare produttore di biometano.
Si ritiene opportuno, alla luce degli attuali sviluppi del costo dell’energia, oltre alla realizzazione di impianti di produzione di biometano come previsto nel PNRR, garantire la continuità degli impianti a biogas post periodo di incentivazione e promuoverne nuovi, per produrre direttamente energia elettrica da immettere in rete e soprattutto incentivare la realizzazione di nuovi serbatoi di accumulo del biogas. Ciò consentirebbe di disporre di una maggior produzione di energia elettrica nelle ore di maggior richiesta e di stoccare il biogas nelle ore di basso consumo, a differenza di quanto sinora avvenuto, in cui la produzione elettrica non poteva superare le soglie previste.
Questa semplice modifica al regolamento attualmente in uso, a costo zero per il Paese, permetterebbe di raddoppiare la produzione elettrica nelle ore di punta, riducendo contemporaneamente l’inutile produzione nelle ore di bassa richiesta.

IDROELETTRICO E POMPAGGI
L’Italia da tempi immemorabili è ricca di energia idroelettrica, fonte rinnovabile e soprattutto programmabile.
Non essendo più possibile prelevare ulteriore acqua dai fiumi e torrenti, risulta prioritario incrementare il sistema dei pompaggi, realizzando nuovi bacini di accumulo da collegare con quelli già esistenti o, nelle zone costiere, utilizzando l’acqua di mare.
Le centrali idroelettriche ad accumulo di pompaggio sono la forma di accumulo di energia più conveniente, come ampiamente dimostrato in letteratura.
Offrono una tecnologia all’avanguardia con bassi rischi, bassi costi operativi e bilanciano le fluttuazioni della rete grazie alla loro elevata flessibilità operativa, consentendo l’integrazione di successo di energia rinnovabile intermittente.
Contribuiscono in modo significativo a un futuro di energia pulita.
I bacini di pompaggio offrono inoltre sicurezza e facilità di fornitura dell’acqua nei molti casi di incendi boschivi.
In conclusione, la produzione di energia elettrica e termica con utilizzo di biomassa, biogas e pompaggi idroelettrici, a differenza delle altre fonti energetiche rinnovabili, quali fotovoltaico ed eolico, è programmabile e rappresenta la necessità primaria del nostro Sistema Paese.

È necessario colmare l’attuale “assenza” di queste fonti all’interno del PNRR. Il rischio è che i danni del terremoto energetico siano molto costosi, se non si interviene in tempo con l’azzardo di dover restituire notevoli fondi all’Europa per la difficoltà e le tempistiche di altri programmi (vedasi nucleare).

FIPER invita il Presidente Draghi e i Ministri Cingolani, Giorgetti e Patuanelli a voler prendere in considerazione quanto proposto, dichiarando sin d’ora la propria disponibilità per ogni eventuale futuro confronto anche su altri argomenti quali Comunità dell’energia, Idrogeno.

*Fonte Decreto rilancio- D.L. 19/05/2020 numero 34 convertito dalla L. 17/07/2020 numero 77