Intervista con il dott. Stefano Cavriani, Founder & Director – EGO Group.
Si è appena concluso il G7. Uno dei temi “scottanti” dell’agenda è la necessità di esplorare con i partner internazionali diversi modi per frenare l’aumento dei prezzi dell’energia, inclusa la fattibilità dell’introduzione di price cap temporanei alle importazioni di gas e di petrolio ove appropriato.
In questo scenario in continuo divenire, in cui l’Unione Europea spinge a livello mondiale per accelerare il processo di transizione ecologica, ci si interroga sulle prospettive del mercato energetico nazionale.
Approfondiamo il tema con il dott. Stefano Cavriani, Founder & Director – EGO Group.
1) Dal suo osservatorio, qual è lo stato di salute del mercato dell’energia italiano nell’affrontare la crisi ucraina e la messa in atto del green deal?
L’Italia ha scelto 35 anni fa di puntare sul metano come propria fonte energetica principale e preponderante (famoso fu infatti lo slogan “il metano ti dà una mano”). Attualmente il metano copre circa il 45% del fabbisogno di energia, percentuale quasi doppia rispetto alla Germania (26%). In pratica l’Italia è di gran lunga il Paese occidentale più dipendente dal gas.
Negli anni, i modesti giacimenti italiani si sono esauriti e da ormai 10-15 anni l’import dall’estero copre il 90% del ns. fabbisogno. In particolare, la Russia fino al 2021 è stato il principale fornitore con circa 30 miliardi mc/anno (rispetto al consumo totale pari a circa 70 miliardi mc/anno). L’altro grande fornitore è l’Algeria (20 miliardi mc/anno).
La stragrande maggioranza del gas da noi consumato arriva via tubo, quindi abbiamo una capacità di rigassificazione abbastanza scarsa (3 rigassificatori: Panigaglia, Livorno e Porto Viro per totali 15 miliardi mc/anno nominali). I rigassificatori sono necessari per ricevere il gas LNG via nave (forniture alternative ai flussi via tubo).
È evidente che in un simile scenario la diversificazione delle fonti energetiche è essenziale, a maggior ragione adesso che il gas dalla Russia non è più garantito e che i prezzi della materia prima sono esplosi (fatto dipendente dalla guerra in corso ma anche da trend più profondi già in atto a prescindere da quest’ultima).
Purtroppo, la spinta sulle fonti rinnovabili si è arenata e negli ultimi 8-10 anni la realizzazione di nuovi impianti è molto rallentata, non solo per il quasi totale azzeramento di incentivi ma anche e soprattutto per l’ostracismo da parte degli enti incaricati di rilasciare le autorizzazioni.
Adesso finalmente l’approccio politico, anche da parte del Governo centrale, pare cambiato e il ritmo di rilascio delle autorizzazioni è fortemente accelerato (almeno 2 GW tra 2021 e inizio 2022), ma la realizzazione effettiva degli impianti è difficoltosa a causa della carenza di materiali (per i noti restringimenti sulle catene di approvvigionamento post-pandemia) e dell’impennata dei costi di investimento: quindi l’aumento delle autorizzazioni non corrisponde necessariamente a un aumento della capacità installata.
In estrema sintesi, l’Italia adesso ha finalmente deciso di affrancarsi dal gas, ma non ha le infrastrutture necessarie e impiegherà anni per colmare le proprie lacune.
Queste difficoltà si traducono in prezzi dell’energia ai massimi livelli in Europa (e nel mondo): dopo quasi 20 anni (2004-2020) a prezzo medio di 60 Euro/MWh (+25% rispetto a Germania e Francia), il prezzo dell’energia è esploso (non solo in Italia): nel 2021 si sono superati i 125 Euro/MWh e nella prima metà del 2022 si sono raggiunti i 250 Euro/MWh. In questo momento il prezzo spot supera i 350 Euro/MWh a causa di alcune contingenze specifiche (la siccità al Nord riduce moltissimo la produzione dagli impianti idroelettrici e dai termoelettrico posizionati lungo il Po).
Le previsioni di prezzo rimangono elevatissime anche per i prossimi 2-3 anni (prezzo medio atteso 150-200 Euro/MWh). Dopo il 2025 non ci sono quotazioni, lo scenario è quanto mai incerto ed è impossibile fare previsioni.
Queste semplici considerazioni ci portano purtroppo a concludere che l’energia in Italia è molto cara e priva dei necessari requisiti di sicurezza e affidabilità, oltreché, come noto, non sufficientemente decarbonizzata. In estrema sintesi possiamo dire che lo stato di salute è tutt’altro che buono.
2) Nel PNRR il Governo ha dato grande enfasi allo sviluppo di fotovoltaico, eolico e biometano. Le altre fonti rinnovabili, tra cui le biomasse, sembrano non interessare. Qual è la sua analisi rispetto a questa grave “dimenticanza”? Crede ci possano essere margini correttivi?
Attualmente quando si parla di fonti rinnovabili ci si riferisce essenzialmente a fotovoltaico ed eolico. Certamente il fotovoltaico è la fonte più versatile e prontamente disponibile, ma chiaramente necessita di essere abbinato a sistemi di accumulo per essere esercito in modo regolare e programmabile.
Anche l’eolico è interessante, ma la ventosità italiana è irregolare e non sempre particolarmente forte. Anch’esso, ovviamente, necessita di sistemi di accumulo per ottenere un minimo di flessibilità e regolarità.
Ma stante lo scenario problematico come quello descritto sopra è evidente che dobbiamo sfruttare tutte le risorse disponibili, prima possibile e più possibile. L’Italia è un Paese ricco di boschi e di risorse legnose, è dunque assurdo non puntare fortemente anche sulle biomasse. Tra l’altro queste fonti sono programmabili e gestibili, quindi costituiscono un perfetto complemento rispetto al fotovoltaico e alle altre fonti non programmabili.
Puntare anche sulle biomasse significa ovviamente investire in nuovi impianti ma allo stesso tempo salvaguardare gli impianti esistenti, che in Italia sono numerosi, distribuiti sul territorio e un patrimonio di infrastrutture prezioso.
Certamente la logica degli impianti a biomasse “solo-elettrici” è ormai superata. Produrre energia elettrica con un rendimento inferiore al 20%, adesso che la materia prima è molto costosa, ha poco senso. Viceversa, l’abbinamento di energia elettrica ed energia termica (impianti termoelettrici cogenerativi a biomasse) rappresenta la forma più efficiente (e quindi intelligente) di utilizzo delle risorse.
Per quanto concerne il biometano, molti impianti a biogas (in Italia ce ne sono circa 1.300) potrebbero essere convertiti, ma al momento il settore è un po’ fermo in attesa del nuovo decreto MITE. Anche il biometano da FORSU è interessante, ma la materia prima utilizzabile non è abbondante. Sicuramente il biometano può essere una risorsa importante, ma è prima di tutto necessario aggiornare e rendere certo il quadro normativo.
Come “green-gas” (gas di origine rinnovabile) personalmente ritengo molto più interessante il biometano rispetto all’idrogeno (per la cui produzione servono elettrolizzatori alimentati da energia elettrica ed enormi quantità di acqua). L’idrogeno potrà svolgere un ruolo interessante in chiave di flessibilità della rete elettrica (accumulo di lungo termine di energia elettrica prodotta in eccesso in certe ore o in certe stagioni), ma ritengo poco sensato immaginare di bruciare l’idrogeno per produrre energia termica (caldaie residenziali o simili) – sempre che sia possibile portarlo nelle case o presso le utenze mediante le normali tubazioni esistenti. Per produrre il calore è molto meglio utilizzare fonti locali come le biomasse, laddove disponibili, veicolandolo “semplicemente” mediante acqua calda.
3) Elettrificazione dei consumi, smart grid, comunità dell’energia rinnovabile: si assiste ad una forte accelerazione nel sostituire il vettore termico con elettrico. Fino a che punto il Sistema Paese è in grado di soddisfare a prezzi competitivi la domanda crescente di energia elettrica? Che ruolo può giocare a suo avviso il comparto termico rinnovabile nella transizione ecologica?
Per i motivi detti sopra l’energia elettrica in Italia è destinata a rimanere costosa per molto tempo. Inoltre, l’incremento dei consumi elettrici porrà notevole pressione sul sistema energetico italiano. Già oggi, molto banalmente, l’impennata dei consumi da condizionamento estivo provoca black-out diffusi e incontrollabili in una metropoli come Milano.
Immaginiamoci cosa potrebbe succedere in caso di incremento significativo e troppo veloce dei consumi elettrici (riscaldamento in primis) qualora le reti non fossero adeguatamente potenziate, sia in termini di potenza di picco gestibile, sia in termini di capacità di gestione “intelligente”. Questo non significa che non dobbiamo puntare sull’elettrificazione, ma tutto va fatto in maniera razionale ed equilibrata. Ciò significa utilizzare in modo intelligente le risorse.
Laddove è possibile disporre di energia termica a costo competitivo e da fonte rinnovabile è evidente che è opportuno (anzi mandatorio) sfruttare pienamente tale risorsa.
Gli impianti termoelettrici cogenerativi a biomasse distribuiti, inseriti in modo armonioso e integrato nel territorio, sono e saranno sempre una risorsa energetica fondamentale. Rinunciarvi sarebbe l’ennesimo errore commesso nella politica energetica italiana, che tende sempre a inseguire una salvifica soluzione “unica”, che non esiste.