Intervista al Presidente di UNCEM Marco Bussone
1. UNCEM, di cui Lei è Presidente, è l’Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani. Cos’è esattamente e a cosa serve? Perché è necessaria una realtà che mantenga un focus sui comuni montani in Italia?
Uncem è nata nel 1953 come organizzazione di rappresentanza, sindacale e di dialogo tra territori, Enti, Istituzioni, in particolare Governo e Parlamento. Al centro vi sono stati sempre obiettivi di valorizzazione territoriale e valorizzazione della montagna. Va ricordato che le aree montane italiane rappresentano il 54% della superficie italiana. Ma se togliamo le aree metropolitane, le “cento grandi città” del Paese, i capoluoghi, arriviamo all’83% di territori rurali, montani, interni, a bassa densità di popolazione. Uncem guarda a questo enorme spazio, spesso poco rappresentato e preso in considerazione dalla politica. Nell’area alpina e appenninica vivono oltre 6 milioni di persone e arriviamo al 15% di PIL del Paese. Le aree montane hanno nell’articolo 44 della Costituzione, secondo comma, un punto fermo, e proprio la Carta Costituzionale prevede misure specifiche che la legge deve mettere in campo. Dalla prima legge del 1952 sulle aree montane arriviamo fino alla legge 97 del 1994, l’ultima interamente dedicata alla montagna. Poi ci sono diverse Regioni italiane che hanno specifiche leggi, con investimenti e stanziamenti economici annuali. Da diversi anni, Governi e Parlamenti provano a montare una nuova legge nazionale sulla montagna, ancora senza risultati. Negli ultimi 15 anni, molteplici regioni hanno smontato il sistema istituzionale che contava, fino al 2010 circa 350 Comunità montane. In molte Regioni sono state trasformare in “Unioni montane di Comuni” puntando su due necessità parallele e intrecciate: riorganizzare i servizi pubblici e garantire politiche di sviluppo sociale ed economiche ai territori.
2. Le foreste possono rappresentare una risorsa per i comuni di montagna. Qual è la situazione attuale delle foreste nei comuni montani italiani?
Frammentazione fondiaria e aumento delle superfici forestali sono collegati in modo circolare con la diminuzione delle persone che vivono sui territori montani. Più che di “abbandono” della montagna, tendo a dire che nei Comuni montani “si muore di più e si nasce bene”. L’attenzione degli ultimi dieci anni sulle foreste, culturale e anche istituzionale, oggi ha bisogno di fare passi in avanti per dire come si aumentano benefici e valore dei lavori in bosco, si dà un beneficio ai proprietari forestali spinti ad associarsi, si realizzano efficaci piani forestali per le proprietà pubbliche e anche per quelle private. Da tempo chiediamo allo Stato, al Parlamento di iniziare a lavorare su una ricomposizione fondiaria. Vale lo stesso tema per i Comuni: se gli Enti sono in una logica dell’IO, campanilisti e municipalisti, pensando di bastare a se stessi, non si va lontano. Così per le superfici forestali. Abbandono, aumento del bosco d’invasione, riduzione della popolazione e delle imprese sono fattori collegati che già hanno antidoti da sperimentare all’interno della Strategia forestale nazionale. Oltre a questo, le Regioni, che hanno competenza sulle foreste e sulla montagna, devono fare e investire di più. Non è accettabile che solo un terzo abbiano uniformato le leggi regionali al TUFF e solo cinque abbiano una legge regionale sulla montagna. Occorre un’azione anche dal centro, per interventi concreti e non occasionali.
3. Come secondo lei, si può lavorare per far sì che si ingeneri un processo di economia circolare e sostenibile che coinvolga foreste, sviluppo economico e protezione dell’ambiente?
Vi sono molti esempi di questo trinomio, concreti. Penso all’Alto Adige, da Bressanone a Vipiteno dove questo sviluppo, anche con i beni ambientali come le foreste valorizzati, e protezione ambientale si realizza. O ancora il Primiero. E poi altre zone del Paese, Alpi e Appennino. Dove i Comuni insieme, non da soli, lavorano con imprese, terzo settore, scuole. Allargano il campo. E dunque realizzano di fatto Strategie di green community nelle quali molto crediamo. Uomo e natura stanno insieme garantendo sviluppo, valorizzazione dei versanti, investimenti. Affrontano le transizioni economica, ambientale, energetica, digitale, e pure la crisi demografica. La lettura congiunta, come avviene nelle green communities, di molteplici ambiti dell’azione pubblica e politica, visti integrati e connessi, è la sola possibile. Senza escludere fasce di popolazione. Il focus è la comunità. Dunque le persone. Che impegnano anche del loro tempo per condividere le strategie e le opportunità. Si sentono parte di un percorso. Gli esempi non mancano. Dagli esempi si devono rafforzare le politiche, che già comunque esistono.
4. Quale ruolo giocano in questo processo le regioni, il Governo centrale e l’Europa? Cosa chiede UNCEM a questi soggetti politici?
Di solito si chiedono sempre soldi, investimenti, incentivi. Ho sperimentato che prima di tutto alla politica occorre chiedere politiche, scelte e visioni. Da definire insieme nel dialogo. La Strategia delle aree interne, la Strategia delle green Communities sono questo. Hanno certamente risorse economiche a disposizione, ma non senza una precisa destinazione e degli obiettivi. Non sono per qualcuno, sono per tutti. Stanno nel green new deal europeo, lo hanno anticipato, dicono che non si può tagliare fuori chi sta peggio e sorreggono quanti potrebbero entrare in sofferenza nel cambiamento. Non è mero assistenzialismo: quando la montagna lo ha avuto, o almeno qualcuno lo aveva offerto dal centro per far star bravi i territori “periferici”, lo abbiamo respinto. Il diritto allo sviluppo va riconosciuto a tutti. E la politica deve mettere le condizioni per garantirlo. Penso a una più efficace spesa di fondi europei, che va guidata con Commissione, Parlamento UE, Regioni, Governo. Meno studi, più attuazione delle ricerche che insieme alle università e alle imprese facciamo. Concretezza nella visione. Senza negare che i cambiamenti climatici ci sono e sono gravi, fortissimi per le zone montane chiamate totalmente a ripensarsi.
5. Che futuro vede per le montagne italiane e i cittadini che vi vivono?
La crisi climatica ha anche come conseguenza il ricollocamento di aree di fondovalle e di mediavalle, nelle Alpi e negli Appennino. Dire che si vive meglio, in questi contesti, va accompagnato da una serie di impegni delle Regioni e degli Enti locali. Per consentire a chi ci vive e chi ci andrà a vivere di avere adeguati servizi. Scuole, trasporti, sanità in primis. Durante la pandemia tanti hanno creduto in una fantomatica corsa ai borghi e alla montagna. Tutta illusione di alcuni. Di certo, si è capito che anche la città deve ripensare i suoi spazi, meno angusti e più verdi. La montagna e i paesi che lezione hanno appreso? Che sono sì accoglienti con piani di aggiornamento dei servizi fatti dagli Enti locali, nuove forme di abitare, comunità che sono vive e dunque capaci di includere. Comuni insieme, sempre. Non vuol dire cancellare o fondere i piccoli Comuni. Significa che gli Enti, i Comuni grandi e piccoli lungo una valle imparano a lavorare insieme. Come avviene da sempre in Francia e in Germania. Anche sulle energie rinnovabili e sulle foreste. Così come sulla fiscalità, sulla pianificazione. C’è molto lavoro da fare. La popolazione diminuisce più in montagna e nelle zone rurali che nelle zone urbane. Ma la sfida è creare link, legami, patti tra territori, interazioni.
6. UNCEM ha incontrato il Presidente Mattarella lo scorso dicembre e a tale proposito avete scritto che “La montagna trova nelle parole del Presidente la forza per essere viva”. Quali concetti ha espresso il Presidente Mattarella?
Quello che mi ha sempre colpito del Presidente Mattarella è la sua costante attenzione ai territori, ai Sindaci, alle comunità, agli imprenditori, agli artigiani… guardando e valorizzando il piccolo e il poco evidente che emerge per dare messaggi forti, di impatto istituzionale, che sono anche monito per noi stessi, per tutta la Politica. Ha parlato di fiscalità, di Enti, di governo e tutela della montagna, di nuovi abitanti, di luoghi. Non è facile per la montagna essere viva. Voglio dire che è facile, in particolare per chi amministra Comuni o chi ci vive e lavora, sentirsi abbandonati, con lo Stato lontano, con pochi servizi, con minori opportunità rispetto alle città. Invece il Capo dello Stato ci dice che la montagna per l’Italia è importante, non è residuale, non è mera appendice di un quartiere urbano, non è solo luogo ludico-sportivo. È importante pezzo del Paese. Dà forza a chi ci crede, Uncem è tra questi, ma non è sola. Chiede alle Istituzioni di fare sforzi per migliorare quel territorio, per dare opportunità e soluzioni. Ecco che quelle parole – come poi quelle del Papa il 20 gennaio – sono una luce in mezzo a tante fragilità della contemporaneità. Ci aiutano a non perdere la bussola.